martedì 30 aprile 2013

Caparra, acconto, clausola penale... un po' di chiarezza



Quando versiamo una somma di denaro ad un’altra persona come anticipo su un importo più elevato è importante sapere a che titolo stiamo consegnando quei soldi. Pensiamo a quando dobbiamo soggiornare in una casa vacanze e ci chiedono di pagare una parte del prezzo, rimandando il saldo al momento dell’arrivo nella struttura. Se facciamo un bonifico è fondamentale conoscere la differenza tra “acconto” e “caparra, perché da un punto di vista giuridico i due termini non sono sinonimi e diverse sono le conseguenze a cui potremmo andare incontro in caso di problemi con la controparte.
Nel caso più diffuso, alla conclusione del contratto versiamo una caparra: se ci rendiamo inadempienti perché – tornando all’esempio di sopra – rinunciamo alla vacanza, la controparte può scegliere di recedere dal contratto, trattenendo la caparra a titolo di risarcimento del danno. Quando, al contrario, è inadempiente la controparte (ad es. se la casa non ci viene consegnata), possiamo recedere dal contratto e pretendere il doppio di quanto abbiamo dato.
Se il contratto si svolge normalmente, invece, la caparra versata può essere restituita, ma di solito viene trattenuta su accordo delle parti e diventa un acconto sul prezzo: ne deriva dunque che per “acconto” si intende solo un’anticipazione del dovuto, per cui quando inizialmente la somma viene versata a tale titolo (e non come caparra) non si applicheranno le norme viste sopra, bensì quelle generali del codice in materia di inadempimento o adempimento parziale.
La forma di caparra vista sinora è detta “confirmatoria” e regolata dall’art. 1385 del codice civile, che prevede anche la caparra “penitenziale” (art. 1386): essa è sempre consegnata alla conclusione del contratto, ma quando quest’ultimo attribuisce ad un contraente il diritto di recedere unilateralmente, per cui ha la funzione di corrispettivo per il diritto di recesso.
Le due forme di caparra sono accomunate dal fatto di prevedere una consegna materiale del denaro al momento della conclusione del contratto e, dunque, non vanno confuse con altre due figure:
a) la “multa penitenziale”, che consiste nell’impegno a consegnare la somma di denaro nel caso di recesso (e non, dunque, nell’effettiva consegna al momento della conclusione, come nella caparra penitenziale);
b) la “clausola penale”, spesso chiamata informalmente “penale”, che consiste in una somma stabilita dai contraenti nel contratto a titolo di risarcimento se una delle due risultasse inadempiente. Essa serve ad evitare al creditore l’onere di dover provare il danno subìto dall’inadempimento e la sua entità, come accade normalmente in caso di mancata esecuzione del contratto secondo le regole generali del codice. Per cui la clausola penale si differenzia dalla caparra perché non c’è una consegna materiale di denaro, ma solo un’obbligazione per il contraente inadempiente, e dalla multa penitenziale perché questa è prevista in caso di diritto di recesso, ovvero di liberarsi unilateralmente dal contratto, non in caso di inadempimento, cioè di mancata esecuzione del contratto.

mercoledì 24 aprile 2013

"La Direzione non risponde in caso di furto..." oppure sì?

Mi capita spesso di leggere negli alberghi e nelle strutture simili avvisi del tipo "La Direzione non risponde per gli oggetti lasciati nelle stanze". Per questo mi sembra giusto fare chiarezza sul punto e ricordare che annunci di questo genere sono privi di qualsiasi efficacia giuridica: le norme che disciplinano la responsabilità dell'albergatore sono infatti previste dal codice civile, che le estende "agli imprenditori di case di cura, stabilimenti di pubblici spettacoli, stabilimenti balneari, pensioni, trattorie, carrozze letto e simili" (tra i "simili" citerei almeno le palestre e le strutture sportive in genere).
Ed è lo stesso codice civile a prevedere che sono "nulli i patti o le dichiarazioni tendenti ad escludere o a limitare preventivamente la responsabilità dell'albergatore" (art. 1785quater): più chiaro di così, il nostro legislatore non poteva essere. Ma quali sono esattamente queste norme? Vediamole subito.
L'art. 1783 prevede che l'albergatore è responsabile "di ogni deterioramento, distruzione o sottrazione delle cose portate dal cliente in albergo". Ai sensi del codice, le "cose portate in albergo" non sono soltanto quelle che si trovano nell'alloggio durante il tempo nel quale il cliente ne dispone, ma anche quelle di cui l'albergatore, un membro della sua famiglia o un suo ausiliario assumono la custodia, fuori dell’albergo, sia durante il periodo di tempo in cui il cliente dispone dell’alloggio, sia durante un periodo di tempo precedente o successivo, purché ragionevole, cioè funzionalmente collegato all'uso dell'alloggio. Quest'ultimo caso si verifica, ad esempio, se consegno la mia valigia al facchino prima di disporre della stanza o quando sto per lasciare la struttura. 
In tali casi, precisa il codice, la responsabilità dell'albergatore è limitata al valore di quanto si sia deteriorato, distrutto o sottratto, sino all'equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell’alloggio per giornata. 
La responsabilità è invece illimitata in due casi: a) quando gli oggetti sono stati consegnati all'albergatore (o ai suoi familiari/ausiliari), oppure quando egli ha rifiutato di riceverli pur essendovi obbligato (ad es.: oggetti di valore, contanti ecc.); b) quando il danno è derivato da colpa dell'albergatore (ad es.: se ha dato le chiavi della stanza ad uno sconosciuto che non aveva alcun titolo per entrarvi).
D'altra parte anche l'albergatore - fatte salve queste regole di base - ha alcune "garanzie", per così dire: in primis, non è tenuto a ricevere oggetti pericolosi o che, tenuto conto dell’importanza e delle condizioni di gestione dell’albergo, abbiano valore eccessivo o natura ingombrante. Per cui quel Picasso originale nella pensioncina di campagna... meglio non portarlo. 
In secondo luogo, il codice prevede che le regole viste non si applicano ai veicoli, alle cose lasciate negli stessi, né agli animali vivi; è ovvio, però, che se è lo stesso albergatore a mettere a disposizione un parcheggio proprio (anche non a pagamento) allora egli tornerà responsabile in quanto custode del veicolo.
Infine, il codice prevede due ulteriori tutele per l'albergatore, direi quasi naturali: egli infatti non è responsabile se il danno deriva dal cliente, dalle persone che l’accompagnano, che sono al suo servizio o che gli rendono visita; da forza maggiore (ad es.: terremoto); dalla natura della cosa (ad es.: un alimento che si deteriora da sé); in più, non è responsabile nemmeno se il cliente denuncia il danno con ritardo ingiustificato.

venerdì 19 aprile 2013

Truffe e raggiri per pochi euro: una proposta per fermarli

"Ma lasciamo perdere, non vale la pena fare una causa per 50 euro!". Quante volte ci capita di dire questa frase, specialmente quando siamo vittime di "piccole" truffe operate da compagnie telefoniche, venditori online o società che forniscono servizi di vario genere? 
Magari ci fanno attivare un servizio per pochi euro, tacendo alcune caratteristiche che poi ci creano un mucchio di seccature. Oppure ci fanno arrivare un oggetto comprato in rete con la speranza di fare un affare... che invece si rivela un pacco. 
In questi casi l'aspetto che ci fa più rabbia è che quei pochi euro presi dalle nostre tasche, sommati ai pochi euro presi dalle tasche di tanti malcapitati, fanno la fortuna di persone senza scrupoli. Così ci sentiamo impotenti, perché sappiamo che le cause (tanto civili quanto penali) richiedono tempo e soldi che pochi vogliono impiegare per riprendersi quei miseri 50 euro. Ma un modo per rimediare in realtà ci sarebbe.
Il nostro diritto civile, infatti, riconosce in caso di danno un risarcimento limitato alla sola compensazione del danno subìto. In molti paesi che adottano un sistema di "common law", cioè in gran parte quelli anglosassoni, opera invece l'istituto dei cosiddetti "danni punitivi", che accanto al risarcimento (tipico del sistema civilistico) prevede una sorta di sanzione punitiva, tipica invece del sistema penalistico, ma sempre consistente in una somma di denaro. In sostanza il danneggiato, provando che il danneggiante ha agito con dolo o colpa grave, può chiedere non solo il risarcimento dei danni subìti, ma anche il pagamento di un'ulteriore sanzione per il comportamento scorretto o fraudolento. Non si punisce solo il danno causato, quindi, ma anche e soprattutto la scorrettezza.
L'introduzione dei danni punitivi spingerebbe i danneggiati a rivendicare i propri diritti perché anziché ottenere la restituzione dei pochi euro sborsati per la truffa potrebbero chiedere al Giudice una condanna ulteriore e proporzionata alla gravità del comportamento: più grave è quest'ultimo, più alta la sanzione.
Inutile dire, chiaramente, che le società truffaldine ci penserebbero più volte prima di offrire contratti ingannevoli, perché in alcuni paesi (ad es.: USA) la sanzione inflitta a titolo di danni punitivi può raggiungere fino al decuplo del danno subìto.
Si potrebbe magari introdurre questo istituto in via sperimentale per alcuni contratti con il consumatore, settore nel quale il nostro sistema legislativo ha già fatto registrare negli ultimi decenni diversi passi in avanti. Tuttavia, per completezza, va detto che molti criticano tale soluzione perché aumenta il numero di cause e, quindi, influisce negativamente sul sistema della giustizia.
Voi che ne pensate? Vi sembra una buona soluzione?

martedì 16 aprile 2013

Ma il "coperto" del ristorante si paga o no?


Vi sarà capitato diverse volte di trovare nel conto del ristorante o della pizzeria la voce “coperto”, che non raramente può raggiungere anche i 2-3 euro a persona. Si tratta di una voce alla quale spesso non facciamo caso, ma che può farci restare la cena sullo stomaco in qualche occasione.
Ebbene, facciamo un po’ di chiarezza e diciamo subito che almeno nel Lazio il coperto non è più dovuto per effetto della legge regionale n. 21/2006. Si tratta di una legge molto chiara (una volta tanto), che così recita all’articolo 16, comma 3: “Qualora il servizio di somministrazione sia effettuato al tavolo, la tabella od il listino dei prezzi deve essere posto a disposizione dei clienti prima dell'ordinazione e deve indicare l'eventuale componente del servizio con modalità tali da rendere il prezzo chiaramente e facilmente comprensibile al pubblico. E' inoltre fatto divieto di applicare costi aggiuntivi per il coperto”.
In sostanza la legge si richiama al principio molto elementare secondo cui un contratto non può prescindere dal consenso fra le parti; consenso che deve ricadere anche sugli obblighi che dal contratto derivano. Sembrerà strano, ma anche tra il ristoratore e il cliente nasce un contratto basato sul consenso, per cui se il cliente non chiede un determinato servizio non è obbligato a pagarlo. Ma facciamo attenzione a due aspetti.
Primo: molti ristoranti e pizzerie utilizzano la voce “servizio” al posto di “coperto”, ma ciò non li legittima a richiederci un costo aggiuntivo rispetto a quello relativo ai piatti che abbiamo ordinato perché, come detto, dev’essere specificata “l’eventuale componente del servizio” che ci viene addebitata. Ma cosa s’intende con quest’ultima espressione? Spesso essa comprende il pane oppure alimenti simili (focacce, grissini etc.) che accompagnano la nostra ordinazione.
E qui entra il gioco il secondo aspetto: è vero che magari non abbiamo chiesto nulla di tutto ciò, ma è pur vero che se ce l’hanno portato e l’abbiamo consumato è giusto pagarlo per una sorta di “tacito consenso”. Per cui se non vogliamo quel servizio è sufficiente rifiutarlo, facendo notare eventualmente l’errato addebito sul conto.
Per cui, sintetizzando: la voce generica “coperto” non è applicabile, mentre per non farsi ingannare con la dicitura “servizio” bisogna tener presente cosa è stato ordinato o cosa è stato comunque accettato dal cliente, purché indicato sul menu e specificato sul conto.
In chiusura però vorrei sottolineare che in Italia non esiste la prassi della mancia, che in molti Paesi è una sorta di obbligo; i costi aggiuntivi per il coperto o il servizio, quindi, possono essere anche visti in quest’ottica e del resto il ristoratore che volesse “fregarci” potrebbe benissimo non farci pagare né il coperto né il servizio, alzando però i prezzi sul menu.
Cerchiamo dunque di usare anche un po’ di buon senso e di premiare chi, al di là delle questioni legali, ci fa uscire dal ristorante con le papille gustative in estasi e l’umore celestiale...ma senza provare a "fregarci", ovviamente!

mercoledì 10 aprile 2013

Come comportarsi in caso di incidente stradale - Parte 2

Concludo con questo post l'excursus dedicato ai consigli da seguire in caso di incidente stradale indicando, in sintesi, cosa fare dal punto di vista legislativo per ottenere il risarcimento dei danni. Ribadisco, come già ho fatto nella prima parte, che le mie indicazioni servono soltanto a conoscere gli aspetti più importanti della questione: sui siti delle compagnie assicuratrici ci sono guide molto più complete.
Detto questo, ricordatevi che quando l'incidente è particolarmente grave o ci sono molti veicoli coinvolti è meglio chiamare le Forze dell'ordine, anziché procedere alla cosiddetta "constatazione amichevole" con l'altro conducente, una procedura che permette di accelerare i tempi per il risarcimento e che si applica quando i conducenti dei veicoli coinvolti sono d'accordo sulla dinamica del sinistro.
In quest'ultimo caso è infatti possibile compilare un modello standard, il "modulo blu" che è sempre utile avere in macchina, per procedere alla constatazione amichevole. Questo modello va compilato in tutte le sue parti ed è formato da quattro copie, poiché ciascun conducente ne avrà due per poterne poi inviare una alla propria compagnia assicuratrice e tenere l'altra per sé.
E' bene scattare qualche fotografia non solo ai veicoli, ma anche ai luoghi del sinistro (ad es.: segnaletica, semafori, condizioni della strada etc.), da allegare alla documentazione; è altrettanto importante raccogliere i dati di eventuali testimoni e, se possibile, una loro dichiarazione scritta sulla dinamica dell'accaduto.
I dati raccolti nel modulo blu sono necessari per fare la denuncia del sinistro all'assicurazione, per cui anche se dopo averlo compilato l'altro conducente si rifiuta di firmarlo tenetelo ugualmente per la denuncia.
Passiamo ora alle regole da seguire per ottenere il risarcimento. La procedura più breve è quella del risarcimento diretto per collisione tra due soli veicoli, richiesto alla propria compagnia di assicurazione e non a quella dell'altro conducente. In breve, tale procedura può essere seguita se l'assicurato non ha causato l'incidente (o vi ha contribuito solo in parte), se entrambi i veicoli sono identificati, assicurati e immatricolati in Italia e se, infine, i danni alle persone sono lievi (non esiste limite, invece, per i danni ai veicoli).
Se ricorrono queste condizioni, inviate la denuncia del sinistro (allegando anche il modulo blu) alla vostra assicurazione, precisando il luogo ove è possibile visionare il veicolo per i danni. Ricordatevi che il diritto al risarcimento si prescrive in due anni dall'incidente, ma che la denuncia va fatta solitamente entro 3 giorni dal sinistro.
A questo punto la palla passa alla vostra compagnia, che vi farà un'offerta di risarcimento entro 30 giorni se il modulo blu è stato firmato anche dall'altro conducente, entro 60 se è stato firmato solo da voi, entro 90 se ci sono danni alle persone. Se l'offerta viene accettata, l'assicurazione vi pagherà entro 15 giorni. In caso contrario, dovrete formulare reclamo alla vostra compagnia assicuratrice per esperire un tentativo di conciliazione, altrimenti sarete costretti a ricorrere alle vie legali.
Nel caso in cui non sia possibile ricorrere al risarcimento diretto, invece, la richiesta di risarcimento va formulata - mediante raccomandata con ricevuta di ritorno - alla compagnia assicuratrice dell'altro conducente, ferma restando la necessità di coinvolgere la vostra compagnia con la denuncia di sinistro.
In questi casi, di solito viene nominato un perito per esaminare i danni e per questo l'automobile dev'essere lasciata a disposizione dello stesso per 8 giorni, con l'indicazione del luogo da voi indicato nella denuncia di sinistro e nella richiesta di risarcimento). Anche nella procedura di questo tipo riceverete un'offerta di risarcimento che potrà essere accettata o meno, con la possibilità - nel secondo caso - di rivolgersi alla giustizia.

Comunicazione di servizio: nel post dedicato alla privacy su Facebook è stato cancellato per errore un commento. Se l'autore volesse riproporlo nello stesso post ne sarei contento.

giovedì 4 aprile 2013

Come comportarsi in caso di incidente stradale - Parte 1


Un tamponamento o - peggio ancora - un incidente stradale sono purtroppo all'ordine del giorno e, pur non augurandoli a nessuno, è necessario conoscere due o tre regole di comportamento da seguire nel caso in cui capitassero proprio a noi. 
Per non fare un post troppo lungo, mi limiterò qui a dare alcune indicazioni soprattutto per la sicurezza propria e degli altri soggetti coinvolti, nonché per la sicurezza della circolazione; rimando, quindi, ad una "seconda parte" i suggerimenti per il risarcimento danni, il coinvolgimento dell'Agenzia di assicurazioni etc, mentre dedicherò un  post a parte al tema del soccorso agli animali investiti.
Faccio subito una piccola premessa: tutte queste regole valgono in caso di incidente "comunque ricollegabile" al comportamento dell'automobilista, come dice il Codice della strada all'art. 189. Ciò significa che anche quando non abbiamo alcuna colpa dell'accaduto è necessario seguirle. 

La prima regola da seguire è quella di fermarsi e di prestare assistenza alle persone che eventualmente fossero ferite o infortunate. Tenete a mente, comunque, che la legge non ci chiede di essere dottori, ma solo di attivarci per non peggiorare la condizione del ferito: chiamare il 118 è il primo passo da fare, mentre può essere addirittura pericoloso toccare o spostare una persona ferita. Per cui facciamolo soltanto se la sua vita è in pericolo (ad es.: principio di incendio dell'auto in cui la persona si trova) e soccorriamola solo nei limiti delle nostre conoscenze.
Quanto detto sinora vale dunque nel caso in cui ci siano danni anche alle persone, il che ci consente di analizzare anche un altro aspetto, e cioè il dubbio se spostare o meno i veicoli coinvolti. Quando nell'incidente ci sono feriti la regola è di non spostare nulla e di chiamare, dopo il 118, anche le Forze dell'ordine affinché procedano ai rilievi, apponendo il triangolo a 50 metri dal luogo dell'incidente e in modo visibile a chi si avvicina. In questo caso, dunque, c'è l'obbligo di coinvolgere Polizia, Carabinieri o Vigili, oltre naturalmente al 118.
Se, invece, nell'incidente ci sono danni solo alle cose, bisogna agire diversamente. Fermo restando l'obbligo di segnalare l'incidente con il triangolo, infatti, la legge impone in linea di principio il dovere di spostare i veicoli fuori dalla carreggiata (o almeno lungo il suo margine), adoperandosi al contempo per non far alterare le tracce che possano aiutare le Forze dell'Ordine (se chiamate) a ricostruire la dinamica del sinistro.
Quando uno o più veicoli coinvolti non siano facilmente rimovibili dalla strada (ad es. per avaria), è necessario chiamare anche il soccorso stradale e attivarsi per avvertire gli altri automobilisti del pericolo tramite il solito triangolo e/o anche mediante gesti o segnali luminosi.
Ecco, in sintesi, le poche regole da tenere presenti nell'immediatezza del sinistro; come detto, per quanto riguarda i passi successivi l'appuntamento è rimandato alla prossima puntata.
Come si dice in questi casi: guidate con prudenza! 

mercoledì 3 aprile 2013

Facebook e la privacy: qualche chiarimento


Malgrado il passare del tempo continua a girare su Facebook una dichiarazione che, incollata nello stato personale, secondo molti utenti proteggerebbe la privacy su questo social network. Mi riferisco a quegli annunci che vietano a "Qualsiasi persona o ente o agente o agenzia di qualsiasi governo, struttura governativa o privata" l'utilizzo di varie informazioni e contenuti che l'utente condivide su FB.
Ebbene, questo tipo di dichiarazione, in qualsiasi forma venga fatta, NON ha alcun valore legale e NON serve, dunque, a disciplinare l'utilizzo dei propri contenuti da parte di Facebook. Chi si iscrive su questo social network, infatti, stipula un vero e proprio contratto con FB, prestando il consenso alle condizioni di utilizzo. In particolare, con il consenso Facebook ottiene una licenza “libera da royalty e valida in tutto il mondo, per l’utilizzo di qualsiasi Contenuto IP pubblicato su Facebook". Tale licenza viene meno solo con l'eventuale cancellazione del profilo oppure con la rimozione del singolo contenuto (foto, documento etc.). Già questo dovrebbe chiarire l'insensatezza della dichiarazione; se ciò non bastasse, sempre nelle condizioni che gli utenti accettano, ci sono due ulteriori punti da tenere a mente.


Il primo è il fatto che continuare ad utilizzare FB costituisce un'accettazione delle condizioni stesse, anche in caso di modifica (pensate al "diario" che ha sostituito il vecchio profilo): in legalese, si chiama "silenzio-assenso" e non ha nulla di immorale o sbagliato. Se utilizzi il servizio, vuol dire che ne accetti anche le condizioni.

Il secondo è che Facebook, giustamente, non è responsabile dell'utilizzo che i terzi facciano dei contenuti pubblicati: se, ad esempio, voi pubblicate una vostra foto in costume da bagno e un vostro contatto la fa girare per il web, FB non ne ha alcuna colpa. Se non volete far girare gli affari vostri, teneteveli ben stretti: come diceva qualcuno, un segreto conosciuto da due persone non è più un segreto.

Ultima nota "di colore": molti utenti credono che la dichiarazione sia valida per il riferimento ad una legge americana, indicata come "UCC 1 1-308-308 1-103", il codice uniforme del commercio in vigore negli U.S.A.; in realtà è vero che questo codice tutela i diritti riservati e quindi alcuni contenuti, ma giustamente esclude da questa tutela le diverse previsioni che siano fonte di "an accord", cioè un accordo liberamente sottoscritto tra le parti, com'è appunto quello tra l'utente e Facebook. 
Questo aspetto dimostra grottescamente che chi fa girare la dichiarazione-bufala non solo non ha letto le condizioni di utilizzo iscrivendosi su FB, ma non ha letto nemmeno quello che c'è scritto nella presunta legge su cui la dichiarazione si basa, preferendo l'uso del dito che clicca su "condividi" all'uso del cervello. Ecco cosa rende davvero un cattivo servizio alla propria immagine!


martedì 2 aprile 2013

Come evitare una multa facile e vivere felici

La famosa teoria della relatività ha tante applicazioni. Eccone una: 25 euro per una cena a base di pesce in un buon ristorante sono un affare, mentre 25 euro spesi per una banale infrazione al codice della strada fanno girare le scatole un po' a tutti, specie se per un errore facilmente evitabile come quello di non sapere dove va collocato il contrassegno dell'assicurazione.
Molti si affidano alla regola "basta che si veda", e lo espongono di lato, mezzo coperto dal santino di Padre Pio e dalla targhetta "Playboy a bordo"; in realtà è vero che il tagliandino dev'essere ben visibile, ma è anche vero che il codice della strada impone di tenerlo "nella parte anteriore o sul vetro parabrezza" (art. 181). Collocarlo su un lato è dunque sbagliato e, nel caso in cui la vostra auto fosse parcheggiata lungo un muro proprio su quel lato, il verbale da parte del vigile è quasi inevitabile perché in sostanza un contrassegno non leggibile equivale ad un contrassegno non esposto.
Perché rischiare, dunque? Mettete il contrassegno davanti, leggibile senza troppi sforzi, e ricordatevi che la frittura di pesce è più godibile senza limone sopra.