mercoledì 26 ottobre 2016

Non ritirare atti giudiziari o raccomandate: una pessima idea

Un problema che spesso noi avvocati ci troviamo ad affrontare è il mancato ritiro degli atti giudiziari o delle raccomandate da parte di clienti che, poi, si trovano in situazioni irrecuperabili.
Restando nello spirito di questo blog, che - come ho scritto più volte - è destinato soprattutto ai "profani" del diritto, eviterò molti tecnicismi e dirò subito che rifiutare o non ritirare i plichi consegnati dal postino o dall'ufficiale giudiziario è una pessima idea, benché molti siano convinti che, in tal modo, si possa utilizzare la scusa di non aver mai ricevuto niente.
La legge distingue, infatti, fra la "conoscenza legale" dell'atto e la "conoscenza effettiva": solitamente, se ricorrono alcuni presupposti previsti dalle norme vigenti, l'atto notificato si presume conosciuto dal destinatario anche se quest'ultimo non ha materialmente visionato il contenuto della busta ricevuta.
Ciò avviene, per citare un caso molto frequente, quando il destinatario dell'atto rifiuta di ricevere la busta nell'errata convinzione che ciò vada a suo favore.
Quando, invece, l'atto non può essere notificato per assenza del destinatario o di altre persone che potrebbero, per legge, riceverlo al suo posto, vi sono meccanismi alternativi che ne garantiscono la "conoscenza legale", come ad esempio il deposito dell'atto presso la casa comunale (per gli atti giudiziari) o presso l'ufficio postale (per le raccomandate), seguito dall'invio di una raccomandata informativa.
Se l'atto non viene ulteriormente ritirato, la notifica si considera perfezionata per "compiuta giacenza" dopo un certo periodo e, dunque, non è una buona idea nemmeno far decorrere questo lasso di tempo senza curare il ritiro dell'atto.
Le conseguenze del rifiuto o del mancato ritiro di un atto, come accennavo sopra, possono essere molto pesanti: ad esempio, se si rifiuta la notifica di una cartella esattoriale, sarà più difficile contestare un futuro atto di pignoramento o un fermo amministrativo eccependo vizi propri della cartella presupposta, proprio perché questa andava impugnata autonomamente entro il termine di legge decorrente dalla sua notifica. 
E' quindi sempre consigliabile ritirare le raccomandate o gli atti giudiziari notificati e prenderne visione senza danneggiare o gettare via la busta, per poi recarsi da un avvocato nel più breve tempo possibile, poiché in molti casi la legge prevede termini assai brevi per difendersi.

giovedì 26 maggio 2016

L'e-mail "Querela per diffamazione aggravata" è una bufala, anche pericolosa!

Ecco un buon motivo per conoscere qualche principio elementare di diritto: può evitarvi brutte figure e...un virus sul computer.
Da qualche giorno, infatti, sta arrivando a molti utenti un'e-mail firmata da uno Studio Legale che invia una "querela per diffamazione aggravata", specificando che il destinatario avrebbe posto in essere, su Facebook, una "attività lesiva e dichiaratamente diffamatoria del diritto all’immagine, al nome, alla dignità e alla riservatezza" della Signora Francesca De Rossi.
Tuttavia, una querela (atto del quale abbiamo già parlato in un altro articolo) NON viene in alcun modo inviata al presunto autore del reato, poiché è un atto che la vittima (o il suo avvocato) presentano all'Autorità Giudiziaria, eventualmente per il tramite delle Forze dell'Ordine.
La mail in questione, dunque, è una bufala ed è anche pericolosa, poiché  può costare addirittura un virus per il computer se si clicca sul pulsante "scarica documento".
Chiunque avesse ricevuto tale comunicazione non deve fare altro che cestinarla immediatamente.

N.B.: al contrario di molti siti internet, non ho riportato, nel mio articolo, il nome dello Studio Legale indicato nella mail perché lo Studio esiste per davvero e, oltre ad essere vittima della bufala, ha subìto anche una certa pubblicità negativa dalla vicenda e dal modo in cui è stata raccontata: preferisco, dunque, evitare ulteriori pregiudizi per i Colleghi.

venerdì 25 marzo 2016

In vigore l'omicidio stradale: qualche lecito dubbio

E' passato quasi un anno da quando ci occupammo, su questo blog, del cosiddetto "omicidio stradale", che allora era un reato ancora allo studio del legislatore e che, invece, oggi entra ufficialmente in vigore per effetto della Legge 23 marzo 2016, n. 41.
Va subito detto che la legge non introduce il solo omicidio stradale, ma anche le lesioni personali stradali, e contiene numerose norme extra-penali di notevole interesse (ad esempio sulla revoca della patente e sui prelievi coattivi di materiale biologico) anche se, ovviamente, l'ipotesi dell'omicidio è quella destinata a fare più rumore e sulla quale ci soffermeremo in questa sede.
Ciò detto, per le considerazioni di carattere generale sulla nuova figura delittuosa, che ritengo in parte ancora valide, rinvio integralmente a questo vecchio post; ora che abbiamo di fronte il testo definitivo della legge che introduce il reato di omicidio stradale, però, possiamo affrontare qualche problema specifico delle nuove norme.
Anzitutto, si può definire l'omicidio stradale come un omicidio colposo causato in stato di ebbrezza (o sotto effetto di droghe), oppure in violazione di particolari norme della circolazione stradale.
Le pene, come prevedibile, sono molto severe e il legislatore ha previsto numerose ed articolate ipotesi sanzionatorie: si va dagli otto ai dodici anni di reclusione (per gli stati di alterazione più gravi), fino ad arrivare ai 18 anni in presenza di aggravanti (ad esempio per omicidio plurimo).
La critica principale mossa alle nuove norme riguarda proprio le pene eccessive, per almeno tre ragioni: la prima è che si tratta di un delitto sicuramente odioso e riprovevole, ma comunque non doloso, per cui le pene sarebbero eccessive già di per sé e non rispetterebbero il principio di proporzionalità tra il fatto e la sanzione. La seconda ragione è che le pene elevate possono spingere l'autore del reato alla fuga, specie se si trova in condizioni di scarsa lucidità. Infine, molti hanno sottolineato che la nuova legge sanziona in modo simile l'omicidio causato in stato di ebbrezza o sotto effetto di droghe (e quindi in una condizione di alterazione coscientemente auto-provocata) e quello causato per la violazione delle norme del codice della strada che molte volte il conducente vìola incolpevolmente.
Visto lo spirito di questo blog, vorrei sottoporre ai lettori solo alcune considerazioni di buon senso proprio su quest'ultimo aspetto.
La legge punisce con pene severissime anche chi causa la morte per aver sorpassato in presenza di striscia continua o in prossimità di un attraversamento pedonale o di un dosso. Se in astratto può sembrare giusto, facciamoci una domanda: le nostre strade consentono sempre a un automobilista normalmente attento di notare un attraversamento pedonale o un dosso? Sono sempre ben presegnalati? Sono sempre posti in punti ben visibili oppure spesso ce li ritroviamo nelle posizioni più improbabili? E le strisce al centro della carreggiata sono sempre ben visibili e coerenti oppure spesso ci troviamo in tratti in cui non si capisce quante strisce ci sono e come sono?
Un discorso simile vale per i limiti di velocità, spesso richiamati nelle nuove norme e posti alla base delle sanzioni: in tutta onestà, si può dire che i tali limiti sono sempre ben segnalati? O forse sono spesso indicati in modo ambiguo e incoerente?
Alla luce di queste considerazioni, il rischio di gettare nello stesso calderone il delinquente e il cittadino sfortunato c'è tutto.
Ovviamente non vogliamo mettere in discussione la necessità di essere prudenti al volante, ma qui si corre il rischio di far scontare molti anni di galera a una persona perché magari non si è accorta del pedone che attraversava sulle strisce ormai quasi cancellate poste dopo una curva (quante ce ne sono in giro? Migliaia, credo).
Quando, nei prossimi anni, le nuove norme verranno sottoposte al vaglio dell'applicazione pratica, nel "diritto vivente" (come lo chiamano i giuristi), vedremo se, come dicono alcuni, la propaganda ha prevalso ancora una volta sulla capacità di fare una buona legge e se i tanti dubbi che provengono da più parti sono giustificati o meno.

sabato 16 gennaio 2016

Il "contratto a tutele crescenti" in breve

Il 2016, per i lavoratori, sarà probabilmente ricordato come l'anno del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, strumento che - nelle intenzioni del Governo Renzi - dovrebbe rilanciare l'occupazione e la stabilità dei rapporti di lavoro.
Secondo l'attuale Governo, il ricorso alle assunzioni a tempo indeterminato dovrebbe essere incentivato da numerosi sgravi contributivi e dalla forte limitazione dell'utilizzo dei cosiddetti contratti atipici (collaborazioni a progetto, contratti a termine, etc.), oltre che dai vantaggi intrinseci del nuovo contratto a tempo indeterminato.
Vediamo, dunque, in cosa consistono le "tutele crescenti" previste dal decreto legislativo 23/2015, che, in attuazione della legge 183/2014 (il "jobs act"), ha appunto disciplinato l'atteso nuovo contratto a tempo indeterminato.
In realtà va subito detto che il legislatore non ha introdotto una nuova forma contrattuale, limitandosi a modificare le conseguenze che si verificano in caso di licenziamento del lavoratore a tempo indeterminato assunto successivamente al 7 marzo 2015 (data dell'entrata in vigore del D. Lgs. 23/2015).
Com'è noto, nello Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970) il famoso articolo 18 tutelava fortemente il lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, attraverso la reintegrazione nel posto di lavoro e il diritto al risarcimento.
Nei nuovi contratti a tempo indeterminato, invece, le ipotesi di riassunzione del lavoratore risultano decisamente ridotte, proseguendo così il disegno già intrapreso dalla "legge Fornero" del precedente Governo Monti. 
Con le nuove norme, nella maggior parte dei casi resta soltanto il diritto ad un'indennità economica, che "cresce" in base all'anzianità del lavoratore (da qui il nome del "nuovo" contratto).
Tra le ipotesi più importanti per le quali permane, oltre al diritto all'indennità economica, la reintegrazione, vanno segnalati i licenziamenti orali, quelli discriminatori, quelli definiti nulli dalla legge e i licenziamenti disciplinari per i quali venga accertata, in giudizio, l'inesistenza del fatto materiale addebitato al lavoratore.
Per quanto riguarda l'ammontare dell'indennità, le norme sono abbastanza complesse: in generale, l'indennità varia tra le 4 e le 24 mensilità (due per ogni anno di anzianità), ma è attenuata in alcune significative ipotesi, come ad esempio nelle piccole imprese, dove oscilla tra 1 e 6 mensilità (1 per ogni anno di anzianità), oppure nelle ipotesi di licenziamento viziato da irregolarità procedurali.
Sempre nelle piccole imprese, poi, è esclusa la riassunzione anche nell'ipotesi di licenziamento disciplinare per il quale venga accertata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale.
Come si può notare, dunque, le "tutele crescenti" consistono, fondamentalmente, nel proporzionare le garanzie di natura economica nei casi di licenziamento illegittimo: per i detrattori della riforma, ciò vuol dire, in sostanza, "monetizzare" il lavoro e liberalizzare i licenziamenti; per i sostenitori, al contrario, ciò stimolerà le imprese ad assumere con un contratto a tempo indeterminato (grazie anche agli sgravi contributivi), con tutte le garanzie che tale contratto offre, senza ricorrere ai contratti atipici e senza il timore dell'obbligo di riassunzione in caso di licenziamento illegittimo, fatto che, a detta di alcuni, rappresentava il principale freno alle nuove assunzioni.
Per il momento, alcuni dati sembrano confermare la crescita delle assunzioni a tempo indeterminato, ma ai più attenti non sfuggirà che, da un lato, c'è l'effetto-novità, amplificato, com'è facile immaginare, dagli sgravi contributivi; dall'altro, c'è ancora una indubbia incertezza che circonda il destino dei contratti atipici e l'intero mercato del lavoro, fatto che ha spinto molte imprese a ricorrere al più semplice e tipico dei contratti di lavoro.
In conclusione, se davvero il 2016, come dicevamo in apertura, sarà ricordato come l'anno del contratto a tutele crescenti, lo vedremo soltanto sul medio-lungo periodo.