martedì 25 febbraio 2014

Il defunto lascia debiti: cosa può fare l'erede?


La posizione di erede non comporta sempre e solo vantaggi: pensiamo al caso di chi è chiamato a succedere ad una persona che in vita ha accumulato molti debiti. Cosa si deve fare in questi casi? In questo post cercheremo di fornire una risposta rapida su alcune questioni fondamentali, fermo restando che la materia delle successioni è molto complessa e ogni caso meriterebbe un apposito approfondimento.
Il primo aspetto da tenere in mente è che l'erede non può rinunciare all'eredità una volta che l'abbia accettata: "semel heres, semper heres", dicevano i giuristi dell'antica Roma ("una volta erede, erede per sempre"). Pertanto è bene ricordare che l'accettazione è irrevocabile e che provoca la cosiddetta confusione tra i patrimoni dell'erede e del defunto, con la conseguenza che i creditori di quest'ultimo potranno aggredire direttamente anche i beni dell'erede.
E' importante sottolineare che l'accettazione può essere fatta anche con dei comportamenti che, inequivocabilmente, segnalano la volontà dell'erede di accettare: pensiamo all'erede che richiede a un debitore del defunto il pagamento di un debito, o che (al contrario) preleva dall'eredità una somma di denaro per saldare un debito del defunto.
In questi casi il rischio per l'erede è di accettare un patrimonio nel quale ci sono più passività che parti in attivo.
Il primo modo per evitare i rischi della confusione tra i due patrimoni è rinunciare all'eredità con una dichiarazione fatta a un notaio o al cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e poi inserita nel registro delle successioni (art. 519 cod. civ.).
E' un atto molto drastico, che peraltro non può essere sottoposto a condizioni o termini, né può riguardare una sola parte dell'eredità; pertanto bisognerà riflettere bene sulla situazione patrimoniale del defunto prima di compierlo.
Un'altra strada da seguire è l'accettazione con beneficio d'inventario, fatta con una dichiarazione nelle stesse forme della rinuncia: questo tipo di accettazione consente di tenere separati i due patrimoni. L'effetto principale di ciò è che l'erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti.
Per poter trarre vantaggio da tale forma di accettazione, però, l'erede è tenuto appunto a redigere l'inventario, che consiste in un conteggio contabile per determinare attività e passività del patrimonio del defunto, compresi i beni mobili e immobili.
L'inventario dev'essere redatto entro tre mesi, che decorrono dal giorno della dichiarazione di accettazione con beneficio d'inventario se l'erede non ha il possesso dei beni ereditari, oppure dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità se l'erede è già nel possesso dei beni ereditari a qualsiasi titolo. 
Se l'erede che ha accettato con beneficio d'inventario non rispetta questi termini (salvo proroghe del Tribunale), è considerato erede puro e semplice.

venerdì 14 febbraio 2014

Droghe leggere e droghe pesanti: ecco cosa ha detto (veramente) la Corte Costituzionale

Dopo aver falciato il "Porcellum" (v. post relativo) la Corte Costituzionale è intervenuta anche sulla famosa legge "Fini-Giovanardi" in materia di stupefacenti, dichiarandola incostituzionale all'esito della Camera di consiglio del 12 febbraio scorso. 
Su giornali e social network si sono sprecati i commenti, soprattutto sull'aspetto della legge che ha fatto indignare di più alcuni settori della politica e dell'elettorato, cioè l'equiparazione fra droghe leggere e droghe pesanti. Equiparazione che, secondo molti, sarebbe stata travolta dalla sentenza, per cui ora il legislatore dovrà ripensare la disciplina in materia di stupefacenti tenendo presente che le droghe leggere e le droghe pesanti vanno trattate diversamente: lo dice la Corte Costituzionale!
In realtà le cose non stanno proprio così: non nel senso che chi fuma una canna deve essere trattato come un eroinomane, ma nel senso che la Consulta non ha dichiarato illegittima la Fini-Giovanardi per la tanto contestata equiparazione.
In attesa delle motivazioni della sentenza, infatti, dobbiamo attenerci al comunicato della Corte stessa, il quale chiaramente fa intendere che la Fini-Giovanardi è stata cassata per una questione di "tecnica legislativa".
Spieghiamoci meglio: l'oggetto della pronuncia della Corte non è una "legge", ma solo un paio di norme contenute in un decreto-legge (precisamente, artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272). 
Ora l'art. 77 della Costituzione, al secondo comma, prevede che quando il Governo adotta decreti-legge "in casi straordinari di necessità e di urgenza" le Camere devono convertirli in legge entro 60 giorni. La Corte Costituzionale ha più volte bocciato quelle norme dei decreti-legge che nulla avevano a che fare con l'oggetto del d.l. stesso, soprattutto se aggiunte durante la fase di conversione in legge, poiché estranee rispetto ai confini tracciati dal decreto originario. 
L'innesto di norme nuove, infatti, può avvenire solo "a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione", poiché altrimenti il Parlamento farebbe un "uso improprio" del suo potere di conversione (Corte Cost., sent. n. 22/2012). Tant'è vero, ricorda la Corte, che il regolamento della Camera prevede che in fase di conversione "Il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge" (art. 96-bis, comma 7).
Nel caso della Fini-Giovanardi, il decreto 272/2005 era stato varato in occasione delle Olimpiadi di Torino, per far fronte a tale evento straordinario, e prevedeva - ad esempio - norme anti-terrorismo, assunzioni di poliziotti, finanziamenti per i Giochi e altre misure che non potevano essere adottate col procedimento legislativo ordinario in Parlamento, molto lungo e farraginoso.
La Corte, pertanto, ha solo rilevato un importante vizio "procedurale" perché oggettivamente le norme sulle droghe, inserite in sede di conversione, non rispettavano i requisiti richiesti dalla Costituzione in ordine al procedimento di conversione. Sul merito, cioè sulla correttezza o meno del considerare uguali tutti i tipi di stupefacenti, la Consulta non ha espresso alcun parere: chi ha scomodato la Costituzione e la Corte per legittimare la propria opinione sulle droghe, in un senso o nell'altro, di certo non ha reso un bel servizio alla nostra Carta fondamentale e ai giudici che ne garantiscono il rispetto.

P.S.: la mia opinione sulla Fini-Giovanardi non è certo positiva, avendo già parlato (seppure en passant) degli effetti assurdi che ha sul sistema carcerario. La mia, quindi, non è una presa di posizione a favore di quel provvedimento, che reputo anzi criticabile su molti fronti, ivi compreso quello dell'equiparazione tra le varie droghe. Il senso di questo articolo è spiegare da un punto di vista giuridico-costituzionale una sentenza che molti interpretano (spesso in mala fede) in modo totalmente errato solo per attaccare la Consulta o, al contrario, per portare i giudici costituzionali dalla parte dell'antiproibizionismo.