giovedì 10 luglio 2014

Comunione o separazione dei beni: qual è la scelta migliore?

Diciamolo subito: rispondere alla domanda che fa da titolo a questo post è impossibile. Però, dato che se la pongono in molti, è bene sgombrare il campo da un equivoco comune, poiché molte coppie di coniugi scelgono l'uno o l'altro regime o per ragioni "assistenziali" (scelgo la comunione per "aiutare" il coniuge debole) o, al contrario, individualistiche (scelgo la separazione perché voglio essere indipendente e poi nella vita "non si sa mai").
Ora è vero che la riforma del diritto di famiglia del 1975 ha voluto riequilibrare le diverse condizioni sociali ed economiche tra uomo e donna, prevedendo la comunione dei beni come regime "naturale" in mancanza di una diversa scelta dei coniugi. Ma è anche vero che nel frattempo la società è profondamente cambiata e, quindi, marito e moglie dovrebbero sfruttare la flessibilità offerta dalla legge per ponderare al meglio la scelta in base alla propria situazione economica, posto che - a differenza di quanto accadeva 40 anni fa - al giorno d'oggi quasi sempre entrambi hanno un lavoro.
In linea di principio, si può dire che se anche uno solo dei coniugi è un professionista, un imprenditore o un lavoratore autonomo, la separazione dei beni è più consigliabile perché rende "inattaccabile" il patrimonio dell'altro coniuge in caso di vicende sfavorevoli (fallimento, debiti etc.).
Al contrario, se entrambi i coniugi sono dipendenti, forse la comunione dei beni è più appropriata (specie se la posizione economica dei coniugi è più o meno la stessa).
Va però detto che le norme del codice civile sulla comunione danno spesso luogo a difficoltà interpretative, e forse questa è la causa che spinge le coppie ad optare sempre più per la separazione dei beni.
Di contro, va a favore della comunione il fatto di bilanciare - come detto - eventuali differenze economiche (anche sopravvenute) tra i coniugi. Facciamo l'esempio di una coppia, in regime di comunione dei beni, che ad un certo punto decide di fare un figlio. Entrambi i coniugi lavorano e hanno lo stesso reddito, ma decidono che la donna si dedicherà completamente alla famiglia dopo la nascita. Con la comunione, i diversi contributi alla vita familiare (economico-lavorativo per il marito, casalingo-familiare per la moglie) non daranno luogo a sperequazioni, poiché gli acquisti futuri cadranno automaticamente nella comunione anche se, dal punto di vista strettamente economico, sarà più che altro il marito a sostenerne il costo.
A favore della separazione dei beni va invece una maggiore elasticità: i coniugi, ad esempio, possono comprare ugualmente una casa insieme, anche "in quote" (es.: 2/3 il marito e 1/3 la moglie), e disporre di tali quote liberamente; nella comunione dei beni, invece, non esiste la stessa possibilità poiché tale forma di comunione viene definita "senza quote". 
In caso di contrasto sulla gestione di alcuni beni (es.: immobili), quindi, il coniuge dovrebbe rivolgersi al giudice per ottenere, eventualmente, la vendita, altrimenti l'atto compiuto è annullabile.
Non vi è invece alcuna differenza tra i due regimi per quanto riguarda le questioni ereditarie, contrariamente a quanto si pensa: il coniuge superstite è erede dell'altro sempre, per legge. Tutt'al più, possono cambiare le quote: se il coniuge è proprietario di un immobile che cade in comunione, chiaramente in caso di morte l'altro coniuge resterà titolare del 50% del bene (poiché la comunione si scioglie), e solo l'altra metà del bene ricadrà nella successione; se invece il defunto era esclusivo titolare del bene, acquistato dopo il matrimonio in regime di separazione, il 100% del bene cadrà nella successione.
Un esempio veloce: Tizio, sposato con Caia e padre del solo Tizietto, muore, lasciando una casa acquistata dopo il matrimonio. 
In caso di comunione, solo il 50% della casa sarà diviso tra Caia e Tizietto, che avranno ciascuno la metà di quella quota, cioè il 25% del totale (pertanto Caia, sommando tale quota al 50% che già aveva, avrà il 75% del bene). 
In caso di separazione, invece, Caia e Tizietto avranno ciascuno il 50% del bene.
Per concludere, quindi, la soluzione migliore è forse quella di chiedere il consiglio ad un esperto prima di scegliere, ricordando che in ogni caso il regime patrimoniale può essere modificato in momenti successivi (seppur con le formalità richieste dalla legge).