venerdì 24 gennaio 2014

Esposti, denunce, querele e scritti anonimi: differenze e validità degli atti

Il cittadino che intende rivolgersi alla giustizia per tutelare i propri diritti dovrebbe sempre chiedere consigli ad un legale; tuttavia, specie quando si tratta di questioni di minore importanza, la tentazione di agire da soli è forte. Perciò, quando si prendono carta e penna è necessario sapere almeno la forma migliore per entrare in contatto con gli organi competenti, poiché spesso si fa confusione nel linguaggio comune tra esposto, denuncia e querela: ciascuno di questi atti, invece, ha presupposti diversi e a volte può anche sottintendere un "fine diverso", cioè una tutela più o meno ampia richiesta alla giustizia.
Cominciamo dall'atto forse più informale tra quelli citati, ovvero l'esposto. Lo scopo di tale atto è quello di risolvere bonariamente una lite fra privati con l'intervento delle Forze dell'Ordine: serve quindi a sollecitare la mediazione dell'Autorità di Pubblica Sicurezza, che può convocare le parti per dirimere la contesa e redigere anche un verbale.
E' importante sapere che in genere si dovrebbe usare lo strumento dell'esposto solo per fatti che non costituiscono reato, come quelli che possono riguardare piccole questioni condominiali; infatti, se ciò che si espone configura un reato procedibile d'ufficio la P.S. deve informare l'Autorità Giudiziaria: sono reati di questo genere tutti quelli che non sono perseguibili a querela di parte, cioè per espressa volontà della persona offesa che chiede la punizione del colpevole. Converrà essere cauti, pertanto: non sempre chi espone un fatto vuole un intervento così duro come quello della giustizia penale, ma proprio per questo è bene consultare un legale per sapere le conseguenze di ciò che si sta per raccontare.
Si intuirà, da quanto detto, che la denuncia è l'atto con il quale il privato porta a conoscenza della giustizia un reato procedibile d'ufficio del quale ha notizia: salvo alcuni gravi reati, in genere la denuncia è facoltativa e non è vincolata a limiti di tempo.
La querela è invece un atto con il quale la vittima di un reato non procedibile d'ufficio non solo espone che è stato commesso un illecito penale, ma chiede anche la punizione del colpevole. Ecco perché spesso gli avvocati usano la locuzione "denuncia-querela": si denuncia il fatto (con la "notitia criminis", cioè notizia di reato), ma si chiede anche la punizione del suo presunto autore; se contestualmente ci sono più fatti, alcuni procedibili d'ufficio e altri solo dietro querela, l'atto presentato servirà a coprire tutte le fattispecie dal punto di vista procedurale. In termini non tecnici, si può dire che con la querela il destino del colpevole dipende dal querelante, che infatti entro certi limiti può anche ritirare la querela; invece con la denuncia la giustizia seguirà il proprio corso poiché il reato è procedibile d'ufficio. La querela è infatti anche una "condizione di procedibilità", cioè un requisito la cui mancanza determina l'impossibilità di punire il presunto autore del reato.
Trattandosi di un atto abbastanza complesso, è sempre meglio sporgere querela per mezzo di un legale, poiché spesso risulta difficile tradurre i fatti di cui si è stati vittima in ipotesi di reato: per esempio, la vittima può non sapere che alcuni fatti che sembrano secondari costituiscono invece delle aggravanti che rendono il reato procedibile anche d'ufficio. La querela può essere presentata al Pubblico Ministero o ad un ufficiale di Polizia Giudiziaria, anche oralmente; attenzione ai tempi, poiché per quasi tutti i reati la querela va presentata entro tre mesi da quando la vittima ha avuto notizia del reato.
Chiarite le differenze fra i tre atti, chiudo con un accenno ad una prassi purtroppo molto in voga nel nostro Paese, quella di inviare alle Autorità scritti anonimi sotto varie forme (esposti, denunce etc.) per segnalare presunti reati. 
Tendenzialmente gli scritti anonimi non devono essere presi in considerazione dalla giustizia penale: l'art. 333 c.p., in particolare, afferma che delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso. A maggior ragione ciò dovrebbe valere per la querela, non essendo individuata la vittima che chiede la punizione del colpevole.
Gli scritti anonimi, quindi, non impongono alcun obbligo di procedere, anche se vanno fatte due precisazioni.
La prima è che una denuncia o una querela anonime possono costare al loro autore (se individuato) una condanna per calunnia, se egli incolpa volontariamente un innocente o simula a carico di quest'ultimo le tracce di un reato.
La seconda è che la denuncia anonima, come detto, non obbliga l'Autorità Giudiziaria ad iscrivere la notizia di reato nell'apposito registro: malgrado ciò, dato che gli organi di giustizia e la Polizia Giudiziaria possono svolgere indagini di propria iniziativa quando vengono a conoscenza di fatti penalmente rilevanti (anche leggendo un'inchiesta giornalistica, per esempio), è chiaro che tali organi potranno avviare un'indagine autonomamente, specie se gli scritti anonimi sono ben circostanziati o provenienti (presumibilmente) da persone diverse.


lunedì 6 gennaio 2014

L'azione penale obbligatoria: cos'è e perché è importante per il cittadino "semplice"

L'articolo 112 della Costituzione stabilisce che "il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale", ma da qualche anno torna ciclicamente l'ipotesi di modificare questa norma per trasformare l'azione penale da obbligatoria a discrezionale. Il tema può sembrare interessante solo al "circolo dei giuristi" e agli addetti ai lavori, ma forse da un punto di vista procedurale non c'è norma più importante per il cittadino che sia vittima di un reato. Vediamo perché.
L'obbligo dell'azione penale, tradotto in parole povere, significa che il magistrato (PM) venuto a conoscenza di una notizia di reato (es.: con una denuncia) deve compiere ogni atto di indagine utile per valutare la fondatezza di tale notizia, per stabilire cioè se la legge penale sia stata violata e chi debba eventualmente risponderne.
Se ritiene fondata la notizia, il Pubblico Ministero chiederà il rinvio a giudizio del presunto autore del reato, altrimenti opterà per la richiesta di archiviazione.
Questo meccanismo assicura soprattutto l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.): se l'azione penale fosse discrezionale, solo il cittadino "ricco" potrebbe permettersi un buon avvocato per convincere l'Autorità Giudiziaria a procedere. Mi spiego con un esempio: in Francia esiste un sistema "misto" per alcuni reati meno gravi, poiché il magistrato che riceve una denuncia può decidere di non procedere per ragioni di opportunità, di politica criminale e così via. Per "costringerlo" a proseguire e indagare, la vittima del reato deve formulare una querela con costituzione di parte civile, ma deve pure pagare una cauzione: è facile immaginare che un tale meccanismo può ingenerare discriminazioni.
Infatti, in un caso che qualche anno fa fece discutere molto, un cittadino francese si è rivolto alla Corte Europea dei diritti dell'uomo denunciando l'imposizione di una cauzione che non poteva permettersi, e la Corte ha riconosciuto che a quel cittadino era stato negato l'accesso alla giustizia (diritto fondamentale dell'uomo). Del resto quando sentiamo che negli USA un personaggio famoso viene scarcerato pagando una cauzione di milioni di dollari, la nostra coscienza ci suggerisce che lo stesso diritto non sarebbe stato assicurato ad una persona normale e non abbiente.
Altro esempio: una donna viene costantemente perseguitata dall'ex con appostamenti, minacce velate, comportamenti aggressivi e così via, ma per paura non si rivolge alla giustizia. E' giusto o sbagliato, secondo voi, garantire comunque la difesa della donna anche se il magistrato viene a conoscenza dell'accaduto da terzi e la donna, per sudditanza nei confronti dell'aggressore, non "insiste" nel pretendere la punizione dell'ex?
Qualcuno può obiettare: ma anche se il PM ha l'obbligo di fare le indagini non è detto che le faccia bene, per cui è possibile che chieda l'archiviazione e che la vittima resti priva di tutela. In realtà il codice di procedura penale, proprio per garantire pienamente il rispetto degli artt. 3 e 112, prevede un importante meccanismo: dato che il PM formula la richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari (GIP), quest'ultimo ha un forte potere di controllo sulla richiesta e può sia ordinare al PM di compiere nuove indagini, sia imporgli di formulare l'imputazione, cioè di promuovere l'accusa in giudizio riconoscendo la fondatezza della notizia di reato (art. 409 c.p.p.).

Come si vede, il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale è determinante per garantire un eguale accesso alla giustizia, impedendo che la persecuzione dei reati sia dettata da scelte ideologiche, religiose, politiche o comunque da ragioni diverse dalla necessità di assicurare il rispetto della legge: perché, allora, la politica tenta da anni di mettere mano a tale principio? La risposta, senza nemmeno spremersi troppo le meningi, è fin troppo facile...

giovedì 2 gennaio 2014

Il Porcellum "incostituzionale": come stanno le cose?

Qualche giorno fa la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legge elettorale 270/2005, il cosiddetto "Porcellum", dichiarandone la parziale illegittimità su due fronti: da un lato, la Consulta ha dichiarato incostituzionali le norme "che prevedono l'assegnazione di un premio di maggioranza - sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica - alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione". Dall'altro, ha bocciato "le norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali 'bloccate', nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza''.
Le motivazioni della Corte saranno note presto e, quindi, è prematuro ogni commento sulla decisione; non è invece prematuro qualche commento sulle reazioni avute da alcuni esponenti del Parlamento. Alcuni dicono: sono illegittimi solo i deputati e senatori eletti col premio di maggioranza.
Altri affermano: il Parlamento è tutto illegittimo, si faccia una nuova legge elettorale e si vada al voto.
I più catastrofisti incalzano: 
l'attuale Parlamento è illegittimo e di conseguenza è illegittimo ogni atto emanato dai due rami (Camera e Senato), in particolare la rielezione di Napolitano, la fiducia accordata al Governo etc. 
Io direi: calma, ragioniamo col buon senso e con la Costituzione in mano.
Primo: il premio di maggioranza, argomento sollevato soprattutto dal MoVimento 5 Stelle che ha pubblicato i nomi dei parlamentari eletti grazie a tale meccanismo. In realtà, la legge è stata dichiarata incostituzionale anche per le liste bloccate, per cui volendo essere coerenti sarebbero "illegittimi" anche quelli che vorrebbero defenestrare i colleghi eletti col premio di maggioranza. Non si capisce perché non si dimettano, visto che (ragionando come loro) sono "illegittimi" esattamente come gli altri, anche se per un altro motivo.
Secondo: quelli che dicono di andare a nuove elezioni, o con una nuova legge da approvare o con il Porcellum stesso, non si ricordano di un piccolo particolare. Se le Camere non sono legittime, come fanno a fare una legge elettorale legittima? E se il Porcellum non è legittimo, dove sarebbe la legittimità del nuovo Parlamento?
Terzo: la Costituzione, citata a sproposito da molti parlamentari che forse l'hanno letta ma non capita, afferma che quando la Corte Costituzionale "dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione" (art. 136). Si dice, tecnicamente, che la abrogazione avviene "ex nunc" ("da ora", ossia dal momento della pronuncia) e non retroagisce "ex tunc" ("da allora", cioè all'indietro, fino all'entrata in vigore della norma).
Per fare un esempio, se Tizio viene condannato e incarcerato per il reato (immaginario) di "starnuto in pubblico" nel 2013 e la Corte abroga tale reato nel 2014, gli effetti della condanna cesseranno nel 2014 ma l'atto in sé della condanna non è "illegittimo" perché al momento della pronuncia la norma di legge era costituzionalmente legittima. Allo stesso modo, erano legittimi gli atti che da quella norma derivavano: una denuncia, le indagini, il rinvio a giudizio, il processo...e così via fino alla condanna. Quindi, la elezione dei parlamentari era legittima.
In caso contrario, non ci sarebbe via d'uscita: il Presidente della Repubblica non potrebbe sciogliere le Camere perché queste erano illegittime e illegittimamente lo hanno eletto; il Governo non potrebbe far nulla (nemmeno in via ipotetica) perché ha ottenuto la fiducia da un Parlamento illegittimo e quindi non potrebbe legittimamente emanare atti...per non parlare delle precedenti elezioni: che ne sarebbe, infatti, delle leggi e degli atti emanati dai Parlamenti eletti nel 2006 e 2008 col Porcellum? Tutti illegittimi?
Quarto: la Consulta stessa ha affermato che "il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali". Questa affermazione della Corte è stata totalmente ignorata dai sostenitori della teoria dell'illegittimità, ma in realtà risolve il problema perché dice ai parlamentari: fate una nuova legge, stavolta rispettosa della Costituzione, ma fatela perché avete questo potere di "scelta politica". Non si capisce perché la Corte dovrebbe riconoscere al Parlamento tale potere legislativo solo in ordine alla legge elettorale e non anche per ogni altro atto.
Per cui i Parlamentari, anziché litigare su chi sia più santo e immacolato, si diano da fare: li paghiamo per questo.