venerdì 29 maggio 2015

Il "divorzio breve": un piccolo grande passo

Con la legge n. 55 del 2015 l'Italia ha compiuto un deciso - anche se non definitivo - passo in avanti in materia di diritto di famiglia, avvicinandosi alla gran parte dei Paesi europei almeno sul tema dello scioglimento del matrimonio.
Il provvedimento in questione, ribattezzato dalla stampa come "divorzio breve", ha infatti notevolmente ridotto i tempi biblici necessari per chiedere il divorzio: com'è noto, la legge che ha introdotto tale istituto in Italia (L. 898/1970) imponeva che, per la presentazione della domanda di divorzio, fossero decorsi almeno tre anni dalla comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale. 
In sostanza la disciplina in vigore fino a pochi giorni fa richiedeva un periodo di lunga attesa prima di sciogliere definitivamente il matrimonio, al fine di consentire ai coniugi già separati di ponderare bene la scelta.
Tuttavia, l'esperienza comune ha dimostrato che nella maggior parte dei casi questo lasso temporale risultava addirittura dannoso sotto vari punti di vista: la scure dei tre anni determinava, spesso, la difficoltà di accettare nuove relazioni dell'altro coniuge o di creare nuovi legami; la presenza di figli a volte veniva usata come "scudo" per richiedere modifiche alle condizioni economiche; l'estenuante precarietà del periodo di separazione spingeva i coniugi separati a peggiorare il rapporto anziché trovare soluzioni condivise e così via.
La legge sul divorzio breve potrebbe ridurre sensibilmente questi e altri problemi: vediamo come.
Il provvedimento è formato da soli tre articoli: il primo - forse il più importante - stabilisce che il termine di tre anni è ridotto a 12 mesi per le separazioni giudiziali e a 6 mesi per le separazioni consensuali (o per le giudiziali successivamente mutate in consensuali).
I termini decorrono sempre dalla comparizione innanzi al presidente e si applicano anche ai procedimenti in corso all'entrata in vigore della legge, come previsto dall'articolo 3.
Va precisato, tuttavia, che altri recenti provvedimenti hanno introdotto la possibilità di raggiungere, in presenza di alcune condizioni, un accordo di separazione (c.d. "convenzione") con l'assistenza degli avvocati, o anche davanti all'ufficiale di stato civile: in queste ipotesi, chiaramente, il termine decorrerà dalla stipulazione della convenzione o dalla certificazione dell'accordo, e si tratterà com'è ovvio del termine di 6 mesi, essendovi il consenso di entrambi i coniugi.
L'articolo 2 della legge 55/2015, infine, anticipa lo scioglimento della comunione dei beni fra i coniugi che, nel regime ante-riforma, era differito al momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione (nella separazione giudiziale) o del decreto di omologa delle condizioni (nella separazione consensuale).
Per effetto del provvedimento, invece, lo scioglimento avverrà nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati (in caso di separazione giudiziale), oppure dalla data di sottoscrizione del verbale di separazione dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato (in caso di separazione consensuale).
Come si può vedere, dunque, la legge 55/2015 modifica in modo rilevante la disciplina in materia di divorzio, ma mantiene inalterata una originaria pecca del nostro sistema di diritto di famiglia, poiché continua a vedere la separazione come un antecedente del divorzio e non un istituto con presupposti diversi.
Nella maggior parte degli ordinamenti moderni, infatti, la separazione e il divorzio hanno finalità differenti, fanno riferimento cioè a ipotesi distinte e, quindi, i coniugi possono avvalersi dell'uno o dell'altro istituto a seconda delle concrete esigenze familiari e personali.
Al momento, invece, la possibilità di un divorzio diretto resta esclusa dalla legge appena approvata, facendo parte di un altro disegno di legge "stralciato" dal testo originario della L. 55/2015.
Tuttavia, al di là di tale aspetto, non si può trascurare l'importanza delle nuove disposizioni, da valutare positivamente anche in un quadro più ampio, che comprende le riforme alle quali abbiamo accennato e che, presto, potrebbe comprendere anche le tanto auspicate norme in materia di patti pre-matrimoniali.

giovedì 21 maggio 2015

Quando diffamare su Facebook può costare una multa

Molti giornali hanno riportato, nei giorni scorsi, un'ordinanza del Tribunale Civile di Reggio Emilia in materia di "diffamazione a mezzo Facebook", se così possiamo chiamarla.
Il caso è semplice: una donna, titolare di un'attività commerciale, ha agito in via d'urgenza (come previsto dall'art. 700 cod. proc. civ.) per chiedere l'immediata rimozione dei commenti offensivi pubblicati su Facebook e riguardanti proprio la sua attività.
Il nostro codice di procedura civile, infatti, consente di chiedere al Giudice un provvedimento d'urgenza quando un diritto è "minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile" e non è possibile attendere l'esito di un giudizio ordinario. 
Ciò avviene, quindi, quando risulterebbe inutile e dannoso aspettare una "normale" pronuncia del giudice, ossia una sentenza che viene normalmente emanata dopo un processo articolato, con garanzie maggiori e numerose formalità.
Nel caso specifico, il Giudice ha dato ragione alla donna e ha ordinato l'immediata rimozione da Facebook dei commenti offensivi, applicando - in modo intelligente, a mio parere - anche un'altra norma del nostro codice di procedura che consente di "punire" l'inerzia di chi non ottempera a determinati ordini del giudice (la norma in esame è l'art. 614-bis cod. proc. civ.).
Proprio in applicazione di questa norma, il Giudice ha inflitto una sorta di "multa" di 100 euro per ogni giorno di ritardo dell'autore della diffamazione, in caso di mancata rimozione dei contenuti diffamatori.
Questo blog ha già evidenziato che i social network non sono una terra di nessuno dove la responsabilità giuridica delle proprie azioni è diversa da quella che si ha nella vita di tutti i giorni; purtroppo, l'utente medio della Rete non sembra comprendere la pericolosità delle proprie parole, facendo affidamento sull'enorme quantità di commenti, post, notizie e contenuti che circolano senza alcun controllo.
Ritengo quindi interessante la pronuncia del Giudice di Reggio Emilia, che ha applicato il diritto vigente in un modo che potrebbe rappresentare un precedente per la materia.
Facciamo attenzione però: i giornali hanno preso il caso particolare analizzato dal Tribunale per fare il solito titolo del tipo "in arrivo multe per chi diffama sul web". Nulla di più sbagliato: non esiste alcuna disciplina specifica in materia, non ci sono norme "nuove" e l'ordinanza si è limitata a intervenire in un caso specifico.
Tuttavia, è interessante osservare l'evoluzione del mondo del diritto che, anche in mancanza di specifiche disposizioni legislative, riesce comunque a tappare qualche falla del sistema e ad assicurare un'adeguata tutela a chi subisce la lesione di un proprio diritto fondamentale.

Di seguito il testo dell'ordinanza: