sabato 28 novembre 2015

Le rotatorie: regole e consigli

Le rotatorie, chiamate anche rotonde o rondò alla francese, sono strutture molto utili per arginare gli incidenti stradali, perché evitano gli scontri frontali negli incroci (tutti i veicoli viaggiano nello stesso senso di marcia) e riducono i potenziali punti di collisione, concentrando altresì lo sguardo del conducente in uno spazio limitato.
E' anche per questo che le vecchie rotatorie "all'italiana", cioè quelle senza segnaletica ove vige il normale obbligo di dare la precedenza a destra, sono sempre più in disuso, a vantaggio di quelle "alla francese", ove la segnaletica - costituita dal segnale di dare precedenza e dai "triangolini" disegnati a terra, all'ingresso della rotatoria, non lascia dubbi: bisogna dare la precedenza a chi è già all'interno dell'anello.
Tuttavia ho notato che molti conducenti ancora non hanno capito il funzionamento delle rotatorie alla francese, malgrado siano tutto sommato molto intuitive e richiedano il rispetto delle normali regole della circolazione stradale.
Ecco, dunque, una piccola guida all'utilizzo delle rotonde con diritto di precedenza.
Per cominciare, secondo un parere del Ministero dei Trasporti, come regola generale bisognerebbe segnalare con la freccia a sinistra l'ingresso nella rotatoria e con la freccia a destra l'uscita.
Quando la rotatoria ha una sola corsia (ad esempio, questa) è sufficiente dare la precedenza a chi già è dentro, segnalando la svolta a destra con la freccia quando si intende uscire (come si può vedere, nell'immagine l'auto che sta entrando ha azionato la freccia a sinistra per segnalare l'ingresso).
Tuttavia può capitare che, benché la rotatoria abbia una sola corsia, la strada che si immette nell'anello ha più di una corsia: in questo caso si applica la regola generale secondo cui l'automobile nella corsia più a destra entra per prima, altrimenti l'automobile più a sinistra taglierebbe la strada all'altra.
Quando invece il numero delle corsie della strada da cui ci si immette è lo stesso delle corsie presenti nella rotatoria, sarebbe preferibile mantenere la propria corsia anche nell'anello, nel senso che l'automobile più a destra dovrebbe occupare l'anello più esterno, mentre l'automobile più a sinistra dovrebbe mantenere l'anello più interno etc.: ovviamente questa regola vale soprattutto per dare maggiore scorrevolezza in entrata, poiché per uscire dalla rotatoria è meglio osservare le seguenti regole generali.
Quando si intende uscire alle prime uscite, è meglio tenersi sull'anello più esterno per poter quindi prendere l'uscita sulla destra; altrimenti, è possibile tenersi anche sugli anelli centrali, chiaramente segnalando la volontà di cambiare corsia e, poi, di uscire dalla rotatoria, con la freccia a destra.
A questo proposito, per evidenti ragioni di sicurezza bisogna ricordare che non bisogna mai tagliare la strada ai veicoli che percorrono la corsia più a destra: ciò vuol dire che se ci si trova su un anello più interno e si vuole uscire dalla rotatoria, ma c'è un'auto che percorre la corsia più a destra, è prudente fare un giro completo della rotonda, spostandosi di corsia con più calma, per poi uscire dove si desidera (ovviamente quando non sia possibile cambiare corsia tempestivamente).
L'unica eccezione a questa regola può esservi quando il veicolo che si trova alla nostra destra ha già impegnato la nostra stessa uscita: in questo caso, una volta sicuri che non sopraggiungano altri veicoli alla nostra destra e che intendono continuare la circolazione nell'anello, sarà possibile procedere parallelamente all'altro veicolo ed immettersi nell'uscita desiderata.
Da quanto abbiamo detto, è evidente che - soprattutto in caso di incertezza sull'uscita - spesso può essere consigliabile percorrere la corsia più esterna della rotatoria, poiché questa, anche se normalmente è meno scorrevole, dev'essere impegnata solo dai veicoli che stanno per svoltare e dalle altre corsie nessuno dovrebbe tagliarci la strada.
Ma, anche in questo caso, bisogna fare attenzione: molte volte i veicoli pesanti, ad esempio quelli con rimorchio, si allargano a sinistra (cioè verso il centro dell'anello) e poi svoltano a destra. In questa ipotesi, trovarsi sulla destra del veicolo può essere pericoloso ed è meglio stare dietro il mezzo pesante.
Allo stesso modo, poiché molti automobilisti tendono a "tagliare" la rotonda per impegnare l'uscita, bisogna fare attenzione ai veicoli che dalle corsie più interne tentano l'uscita repentina dall'anello.
Seguendo queste poche regole, non dovreste avere problemi: tuttavia, per una maggiore sicurezza, vi invito a cercare anche su internet dei video dimostrativi realizzati dalla Polizia Stradale o da alcuni Comandi di Polizia Locale.

giovedì 30 luglio 2015

Coppie di fatto: perché è giusto tutelarle

Il dibattito sulla necessità di disciplinare i rapporti giuridici ed economici nelle coppie di fatto torna ciclicamente nel nostro Paese, tra i pochi - nel mondo occidentale - a non dettare un'apposita normativa in materia.
Vorrei quindi sottoporre alcune riflessioni di tipo tecnico-giuridico sul punto, senza entrare in ambiti più spinosi come i diritti delle coppie omosessuali o l'adozione da parte di coppie di fatto sia etero che omosessuali.
Spesso il dibattito sui diritti delle coppie di fatto si apre e si chiude con questo argomento: ma se due persone non vogliono sposarsi, perché bisognerebbe garantire loro reciproci diritti e doveri? Non sono proprio queste persone a non volere diritti e doveri? "Se vuoi i diritti, sposati", leggo spesso in molte discussioni sulla Rete.
Questo punto di vista è giuridicamente sbagliato. Il matrimonio civile italiano, per come è stato concepito dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975, si muove in un'ottica fortemente paternalistica: lo Stato, per riequilibrare la condizione (all'epoca) socialmente inferiore della donna, decise di prevedere fondamentalmente una sola forma matrimoniale, fortemente protezionistica nei confronti della moglie.
Il matrimonio del 1975, ancora in vigore, è infatti un "blocco unico" che impone ai coniugi di comportarsi in un certo modo (obbligo di coabitazione, di fedeltà etc.) e di regolamentare i rapporti patrimoniali o con la comunione dei beni o con la separazione dei beni, con l'unica eccezione (peraltro non molto pratica) della comunione "convenzionale", che permette di escludere o includere nella comunione alcune categorie di beni, o con l'istituto del "fondo patrimoniale" al quale si ricorre raramente perché, ancora una volta, è fonte di numerosi problemi applicativi.
In sostanza, le formalità burocratiche e le norme di legge non sono al passo con i tempi e, infatti, gli studiosi di diritto propongono almeno una mini-riforma dei rapporti patrimoniali fra i coniugi (quelli personali sono spesso regolati anche da interpretazioni "adeguatrici" dei giudici: pensiamo all'obbligo di fedeltà).
Per cui, il primo problema è che lo Stato vuole intervenire in ogni aspetto della vita matrimoniale. Si spiega così la impossibilità (o l'estrema difficoltà) per i futuri coniugi di stipulare dei patti prematrimoniali, che consentano una disciplina dei rapporti economici più adatta alle esigenze della coppia (possibilità che, invece, è largamente riconosciuta in molti Stati e che, fra l'altro, svolge un'ottima funzione di prevenzione del contenzioso).
Da un altro lato, il problema è che ci sono una serie di diritti, negati alle coppie di fatto, che possono essere riconosciuti solo se ci si ingessa in quel "blocco unico" di cui si parlava finora e che, invece, dovrebbero essere considerati come diritti civili, non matrimoniali.
Non sempre la vita di coppia è una convivenza "more uxorio" (cioè simile al matrimonio): l'affetto e i sentimenti prescindono dal modo in cui si sceglie di stare insieme.
Pensate a questo esempio pratico, che tra l'altro è molto frequente nella realtà: una persona separata, magari per colpa di ripetuti tradimenti, si rifà una nuova vita con un'altra persona; ebbene di fronte allo Stato, finché c'è matrimonio, in sostanza il coniuge può mantenere una serie di diritti che al nuovo partner non possono essere riconosciuti in alcun modo, come la reversibilità della pensione in caso di morte, il diritto agli alimenti in caso di bisogno, il trattamento di fine rapporto, la riserva di una quota ereditaria, il diritto di abitazione, il diritto di assistere il partner in caso di malattia e così via.
Perché tutti questi diritti devono derivare per forza e soltanto dal matrimonio? Non sono forse diritti civili che potrebbero essere attribuiti mediante un atto di volontà privata?
Alla luce di tutto quanto detto sinora, è evidente che nessuno vuole distruggere il matrimonio civile, ma mantenerlo in vita così com'è non ha senso e sono sicuro che la "fuga" dalle nozze è causata più da questa rigidità della legge che dal venir meno del valore della famiglia. Affiancare al matrimonio "classico" (che, ripeto, è sacrosanto mantenere in vita) una regolamentazione più moderna dei rapporti di coppia è, dunque, un atto di civiltà.
Per fortuna, alcune riforme recenti hanno reso meno gravosa almeno la fase dello scioglimento del matrimonio; speriamo, quindi, che in quest'ottica lo Stato cominci ad allentare la morsa che da decenni impone alla volontà privata.

sabato 27 giugno 2015

Case-vacanza e viaggi: come evitare le truffe

Se dicessi che esiste una categoria di danno chiamata "danno da vacanza rovinata", forse a qualche lettore scapperebbe un sorriso al pensiero che i nostri giudici debbano occuparsi delle disavventure dei turisti, soprattutto di quei "turisti fai-da-te", come li definiva una storica pubblicità di un tour operator.
Tuttavia, a pensarci bene la vacanza è un'occasione di svago e di relax, magari dopo un anno passato a lavorare duramente: chi ce la rovina, dunque, ci fa quasi un "doppio danno", perché ci fa perdere quest'occasione spesso irripetibile.
Ecco perché la giurisprudenza ha cominciato a riconoscere il risarcimento non solo dei pregiudizi economici subiti dal turista, ma anche quei turbamenti psicologici causati dalla cattiva organizzazione dei pacchetti-vacanze, dai servizi inferiori a quelli promessi e, più in generale, da tutti quei fattori che impediscono al consumatore di godere della vacanza programmata, in tutto o in parte.
Con questa piccola guida vorrei dare alcuni suggerimenti per evitare queste esperienze negative, che spesso si trasformano in vere e proprie truffe: tenendo a mente pochi consigli, invece, ci si può assicurare qualche carta vincente da giocarsi, se necessario, quando si intende chiedere un risarcimento o comunque agire in via giudiziale.
Cominciamo col dire che, quando ci si rivolge ad un tour operator o ad un'agenzia di viaggi, è un diritto chiedere copia del contratto stipulato (e magari anche del catalogo o della brochure che individuano il pacchetto acquistato).
Il contratto dovrà indicare le condizioni per il recesso, le caratteristiche del pacchetto (ad es.: quali servizi sono compresi e quali, invece, sono a carico del consumatore) e tutta una serie di elementi che la legge individua nel "Codice del turismo" (D. Lgs.79/2011).
Si può quindi dire che, rivolgendosi alle agenzie, la legge offre al consumatore una tutela rafforzata da precise norme legislative.
Più delicata può essere la situazione di chi si rivolge direttamente ad un privato, come avviene spessissimo negli ultimi anni con le case-vacanza.
In questo caso, bisogna da subito capire chi si ha di fronte: chiedete, quindi, di essere informati sulle generalità dell'inserzionista e sulla sua qualità (es.: proprietario, semplice gestore etc.), chiedete il maggior numero di contatti (indirizzo di posta elettronica, numero di telefono e di cellulare, fax, etc.) e, prima di prenotare, chiedete anche una copia del documento d'identità.
Chiedete all'inserzionista una descrizione accurata della casa, di ciò che è compreso e di ciò che invece non lo è (ad es.: cambio lenzuola, cassaforte, utenze varie etc.): anche se può suonare strano, state involontariamente stabilendo le clausole e le condizioni di un contratto. Pertanto, se ad esempio trovate un annuncio interessante ma supportato da poche immagini, chiedete di farvi inviare le fotografie dell'immobile; oppure, se vi viene dato un indirizzo, controllate se effettivamente risponde alle informazioni fornite (ad es.: vicinanza con il centro del paese, con il mare, presenza di supermercati nei dintorni, etc.)
Cercate di non condurre e di non concludere l'affare solo per telefono, ma affidatevi alle e-mail o al fax anche per conoscere le informazioni sull'alloggio e, se qualcosa non vi convince, chiedete sempre tutti i dettagli, stampando tutto il possibile (nel caso, persino le fotografie, così potrete confrontarle con il reale stato dei luoghi).
Se siete convinti e volete prenotare, vi verrà probabilmente richiesto un pagamento parziale: chiedete sempre a quale titolo viene corrisposta la somma di denaro (caparra, acconto, etc.) e cercate di utilizzare sempre pagamenti tracciabili come un bonifico o una carta di credito, specificando quanto più possibile la causale (ad es.: "Locazione casa-vacanze via Roma 32, 1-31 luglio 2015").
Ricordatevi che la legge prevede anche la figura dei contratti di locazione turistica, per cui fidatevi maggiormente di chi vi offre subito un contratto scritto: senza complicarci la vita sull'obbligo della forma scritta, sulla registrazione del contratto e sulle tasse connesse, sappiate che la legge consente ai privati di stipulare sempre per iscritto un contratto, anche quando ciò non è obbligatorio. Quindi, se non siete convinti di qualcosa, potete sempre esigere la forma scritta.
A volte il contratto di locazione viene firmato all'arrivo e, quindi, avete tutto il diritto di leggerlo con attenzione (per verificare la corrispondenza con quanto pattuito in precedenza), di averne copia e di ottenere ogni chiarimento dal locatore.
Se vi viene chiesto il saldo al momento della consegna delle chiavi, richiedete una ricevuta, soprattutto se il saldo viene corrisposto in contanti. 
Infine, se malgrado tutti questi consigli vi sentite comunque truffati o danneggiati, rivolgetevi ad un legale per sapere se e come è possibile agire: la vacanza è un momento quasi sacro e, quando qualcuno ve la rovina, avete tutto il diritto di tutelarvi!

venerdì 29 maggio 2015

Il "divorzio breve": un piccolo grande passo

Con la legge n. 55 del 2015 l'Italia ha compiuto un deciso - anche se non definitivo - passo in avanti in materia di diritto di famiglia, avvicinandosi alla gran parte dei Paesi europei almeno sul tema dello scioglimento del matrimonio.
Il provvedimento in questione, ribattezzato dalla stampa come "divorzio breve", ha infatti notevolmente ridotto i tempi biblici necessari per chiedere il divorzio: com'è noto, la legge che ha introdotto tale istituto in Italia (L. 898/1970) imponeva che, per la presentazione della domanda di divorzio, fossero decorsi almeno tre anni dalla comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale. 
In sostanza la disciplina in vigore fino a pochi giorni fa richiedeva un periodo di lunga attesa prima di sciogliere definitivamente il matrimonio, al fine di consentire ai coniugi già separati di ponderare bene la scelta.
Tuttavia, l'esperienza comune ha dimostrato che nella maggior parte dei casi questo lasso temporale risultava addirittura dannoso sotto vari punti di vista: la scure dei tre anni determinava, spesso, la difficoltà di accettare nuove relazioni dell'altro coniuge o di creare nuovi legami; la presenza di figli a volte veniva usata come "scudo" per richiedere modifiche alle condizioni economiche; l'estenuante precarietà del periodo di separazione spingeva i coniugi separati a peggiorare il rapporto anziché trovare soluzioni condivise e così via.
La legge sul divorzio breve potrebbe ridurre sensibilmente questi e altri problemi: vediamo come.
Il provvedimento è formato da soli tre articoli: il primo - forse il più importante - stabilisce che il termine di tre anni è ridotto a 12 mesi per le separazioni giudiziali e a 6 mesi per le separazioni consensuali (o per le giudiziali successivamente mutate in consensuali).
I termini decorrono sempre dalla comparizione innanzi al presidente e si applicano anche ai procedimenti in corso all'entrata in vigore della legge, come previsto dall'articolo 3.
Va precisato, tuttavia, che altri recenti provvedimenti hanno introdotto la possibilità di raggiungere, in presenza di alcune condizioni, un accordo di separazione (c.d. "convenzione") con l'assistenza degli avvocati, o anche davanti all'ufficiale di stato civile: in queste ipotesi, chiaramente, il termine decorrerà dalla stipulazione della convenzione o dalla certificazione dell'accordo, e si tratterà com'è ovvio del termine di 6 mesi, essendovi il consenso di entrambi i coniugi.
L'articolo 2 della legge 55/2015, infine, anticipa lo scioglimento della comunione dei beni fra i coniugi che, nel regime ante-riforma, era differito al momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione (nella separazione giudiziale) o del decreto di omologa delle condizioni (nella separazione consensuale).
Per effetto del provvedimento, invece, lo scioglimento avverrà nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati (in caso di separazione giudiziale), oppure dalla data di sottoscrizione del verbale di separazione dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato (in caso di separazione consensuale).
Come si può vedere, dunque, la legge 55/2015 modifica in modo rilevante la disciplina in materia di divorzio, ma mantiene inalterata una originaria pecca del nostro sistema di diritto di famiglia, poiché continua a vedere la separazione come un antecedente del divorzio e non un istituto con presupposti diversi.
Nella maggior parte degli ordinamenti moderni, infatti, la separazione e il divorzio hanno finalità differenti, fanno riferimento cioè a ipotesi distinte e, quindi, i coniugi possono avvalersi dell'uno o dell'altro istituto a seconda delle concrete esigenze familiari e personali.
Al momento, invece, la possibilità di un divorzio diretto resta esclusa dalla legge appena approvata, facendo parte di un altro disegno di legge "stralciato" dal testo originario della L. 55/2015.
Tuttavia, al di là di tale aspetto, non si può trascurare l'importanza delle nuove disposizioni, da valutare positivamente anche in un quadro più ampio, che comprende le riforme alle quali abbiamo accennato e che, presto, potrebbe comprendere anche le tanto auspicate norme in materia di patti pre-matrimoniali.

giovedì 21 maggio 2015

Quando diffamare su Facebook può costare una multa

Molti giornali hanno riportato, nei giorni scorsi, un'ordinanza del Tribunale Civile di Reggio Emilia in materia di "diffamazione a mezzo Facebook", se così possiamo chiamarla.
Il caso è semplice: una donna, titolare di un'attività commerciale, ha agito in via d'urgenza (come previsto dall'art. 700 cod. proc. civ.) per chiedere l'immediata rimozione dei commenti offensivi pubblicati su Facebook e riguardanti proprio la sua attività.
Il nostro codice di procedura civile, infatti, consente di chiedere al Giudice un provvedimento d'urgenza quando un diritto è "minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile" e non è possibile attendere l'esito di un giudizio ordinario. 
Ciò avviene, quindi, quando risulterebbe inutile e dannoso aspettare una "normale" pronuncia del giudice, ossia una sentenza che viene normalmente emanata dopo un processo articolato, con garanzie maggiori e numerose formalità.
Nel caso specifico, il Giudice ha dato ragione alla donna e ha ordinato l'immediata rimozione da Facebook dei commenti offensivi, applicando - in modo intelligente, a mio parere - anche un'altra norma del nostro codice di procedura che consente di "punire" l'inerzia di chi non ottempera a determinati ordini del giudice (la norma in esame è l'art. 614-bis cod. proc. civ.).
Proprio in applicazione di questa norma, il Giudice ha inflitto una sorta di "multa" di 100 euro per ogni giorno di ritardo dell'autore della diffamazione, in caso di mancata rimozione dei contenuti diffamatori.
Questo blog ha già evidenziato che i social network non sono una terra di nessuno dove la responsabilità giuridica delle proprie azioni è diversa da quella che si ha nella vita di tutti i giorni; purtroppo, l'utente medio della Rete non sembra comprendere la pericolosità delle proprie parole, facendo affidamento sull'enorme quantità di commenti, post, notizie e contenuti che circolano senza alcun controllo.
Ritengo quindi interessante la pronuncia del Giudice di Reggio Emilia, che ha applicato il diritto vigente in un modo che potrebbe rappresentare un precedente per la materia.
Facciamo attenzione però: i giornali hanno preso il caso particolare analizzato dal Tribunale per fare il solito titolo del tipo "in arrivo multe per chi diffama sul web". Nulla di più sbagliato: non esiste alcuna disciplina specifica in materia, non ci sono norme "nuove" e l'ordinanza si è limitata a intervenire in un caso specifico.
Tuttavia, è interessante osservare l'evoluzione del mondo del diritto che, anche in mancanza di specifiche disposizioni legislative, riesce comunque a tappare qualche falla del sistema e ad assicurare un'adeguata tutela a chi subisce la lesione di un proprio diritto fondamentale.

Di seguito il testo dell'ordinanza:

giovedì 16 aprile 2015

Omicidio stradale: fare presto, ma fare bene

Essere contrari alla tanto attesa introduzione del reato di "omicidio stradale" è quasi impossibile: i casi di cronaca suggeriscono alla coscienza di ciascuno di noi che qualcosa, a livello legislativo, deve cambiare.
Tuttavia, persino la più condivisibile proposta può presentare una serie di ostacoli: visto che l'approvazione di una legge in materia sembra prossima, la speranza è che tale legge non sia un mostro giuridico poco efficace e addirittura dannoso.
In primo luogo, col dovuto rispetto per i familiari delle vittime, bisogna opporsi ad una posizione più radicale che vorrebbe ricondurre l'omicidio stradale nel campo dei reati dolosi, poiché - si dice - chi si mette al volante in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di droghe accetta il rischio di causare morti o feriti. Saremmo quindi in presenza di una forma di omicidio volontario.
Purtroppo il diritto e la giustizia non sono così semplici: è vero che il confine tra dolo e colpa può essere molto sottile, ma è anche vero che introdurre una "presunzione di dolo" sarebbe contrario ai principi del diritto penale e della nostra Costituzione.
Ma, anche da un punto di vista pratico, alcuni hanno osservato che la pesante accusa di omicidio volontario potrebbe spingere l'automobilista alla fuga, anche per la semplice paura di aver causato un incidente e senza sapere quali siano le condizioni delle persone coinvolte.
Fortunatamente, sembra che l'area entro la quale opererà il nuovo reato sarà quella dei delitti colposi, tenendo conto che nel nostro codice penale esiste già un'aggravante per l'omicidio colposo causato dalla violazione delle norme della circolazione stradale e dall'uso di alcol o droghe.
Nessuna rivoluzione in vista, dunque: oltre al prevedibile e necessario aumento delle pene, l'intenzione del legislatore è più che altro quella di creare un delitto "ad hoc", con un nome proprio potremmo dire, fatto che spesso, di per sé, riesce a dissuadere il potenziale trasgressore.
Se queste sono le intenzioni, la proposta di legge non può che essere accolta positivamente; tuttavia, bisogna fare ugualmente alcune precisazioni.
Da un punto di vista punitivo, è probabile che l'innalzamento delle pene e la configurazione di un reato autonomo potranno avere una loro efficacia, ma il rischio principale è quello di avere una brutta replica di quanto è avvenuto con il reato di stalking: le molte falle del sistema penale e, soprattutto, la mancanza di una vera e propria prevenzione, potrebbero vanificare i buoni propositi. Se, come si dice, la mentalità maschilista è alla base dello stalking o del cosiddetto "femminicidio", è lecito domandarsi se non sia più urgente intervenire sulla "mentalità irresponsabile" di chi si mette alla guida sotto effetto di alcol o droghe.
Di conseguenza, è lecito domandarsi: cosa intende fare il legislatore per la diffusione dell'alcolismo tra i più giovani? E per la vendita selvaggia di alcol nei locali? E, ancora, per la brutta abitudine di fumare, parlare al cellulare, messaggiare, già quando si guida una microcar senza patente? 
Altro punto oscuro, infine, è il sistema sanzionatorio non-penalistico: l'esperienza giuridica insegna che le sanzioni amministrative, spesso, funzionano meglio di quelle penali. In materia di sospensione, revoca o ritiro della patente, in materia di rieducazione stradale, in materia di aumento dei controlli sulle strade, qual è il piano del legislatore? Non è meglio bloccare una persona ubriaca, che quindi per definizione è poco lucida, prima che si mette al volante, anziché quando già l'ha fatto e probabilmente se ne frega della remota probabilità di causare un incidente?
Quando avremo le risposte a queste domande, con l'approvazione della legge, torneremo sul tema.

sabato 7 marzo 2015

E' lecito registrare conversazioni altrui?

La registrazione di una conversazione privata è un'attività che, un tempo, richiedeva complicati sistemi da agente segreto; oggi, al contrario, è sufficiente avere un telefonino o un lettore mp3 per procurarsi la "prova" di un illecito o comunque di un fatto rilevante per la nostra vita (ad esempio: un tradimento).
Nell'era dei diritti connessi alla "privacy", si potrebbe pensare che captare conversazioni in modo occulto rappresenti sempre una violazione della riservatezza e, quindi, costituisca un atto illecito.
In realtà non è così e, anzi, la legge e la giurisprudenza sono abbastanza chiare sul punto.
Tuttavia, è bene fare subito una distinzione tra le vere e proprie "intercettazioni", che sono uno strumento di indagine riservato alla Magistratura, e le "registrazioni". Le prime, infatti, possono essere disposte dall'Autorità Giudiziaria in presenza di specifici reati e vanno svolte con precise modalità di legge, perché impongono il sacrificio del diritto alla privacy: in questo caso la captazione occulta di conversazioni svolte telefonicamente o tramite altri mezzi è eseguita da un soggetto estraneo al dialogo.
E il punto importante per capire se ed in quali limiti si può registrare una conversazione privata sta proprio nel carattere occulto della registrazione: al contrario dell'Autorità Giudiziaria, infatti, un privato cittadino non può registrare una conversazione altrui se non prende parte alla stessa (es.: lasciando un registratore acceso in una stanza). 
In sostanza è lecito, secondo varie sentenze della Corte di Cassazione, registrare anche occultamente una conversazione alla quale si prende parte, perché in questo caso chi dialoga accetta il rischio di essere registrato a sua insaputa e, soprattutto, perché la registrazione rappresenta solo una forma di documentazione di un fatto storico che ha visto il registrante come protagonista diretto, non come terzo, e il registrato sapeva di dirigere le sue parole o i suoi gesti a quella persona.
Chiaramente questa regola vale sia per le conversazioni dirette (es.: una chiacchierata al bar registrata con un telefonino), sia per quelle telefoniche o con mezzi simili, e addirittura vale anche se la registrazione viene fatta presso la privata dimora del registrato, sempre a patto che chi registra sia membro della conversazione, altrimenti si rischia di commettere il reato di interferenze illecite nell'altrui vita privata. 
Al contrario, non vige la stessa libertà per l'utilizzo delle registrazioni lecitamente acquisite, che possono essere usate e divulgate solo con il consenso del registrato oppure se ciò è necessario per tutelare un proprio o un altrui diritto (ad esempio, per provare un fatto in un processo).
Pertanto, per fare un esempio, non si possono pubblicare su un sito internet o su un social network le registrazioni, anche se acquisite in modo lecito, mentre possono essere introdotte in un processo.
Da quanto detto sinora, discende un corollario importante: se il registrante diventa "estraneo" alla conversazione anche per un piccolo periodo, per quel periodo la registrazione non è utilizzabile. Esemplificando, se mi trovo in salotto con degli amici e registro una conversazione a loro insaputa con il telefonino, ma poi mi allontano per 10 minuti lasciando attiva la registrazione, ciò che è avvenuto in quei 10 minuti è stato acquisito illecitamente, poiché risultavo escluso dalla conversazione.

lunedì 23 febbraio 2015

Quando le forze dell'ordine possono entrare in casa?

"Non potete entrare senza un mandato!": quante volte abbiamo sentito questa espressione nei film americani? E quante volte abbiamo pensato che si tratta di un luogo comune a stelle e a strisce, senza fermarci a pensare che, al contrario, nasconde una delle più grandi conquiste in tema di diritti fondamentali?
Gli Stati di diritto, infatti, si distinguono dagli Stati assoluti soprattutto per la prevalenza dei diritti individuali nei confronti del potere statale e, quindi, è giusto sapere se e a quali condizioni le forze dell'ordine possono entrare in casa di un privato cittadino.
Tanto per restare in tema di diritti fondamentali, è la nostra Costituzione a definire "inviolabile" il domicilio (art. 14), considerandolo una sorta di estensione della libertà personale (art. 13). Ed infatti la Carta fondamentale prevede, in sostanza, le stesse tutele per la libertà individuale e per la libertà di domicilio, stabilendo che le ispezioni, le perquisizioni o i sequestri non possono essere eseguiti presso il domicilio se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Tali norme sono importantissime, perché limitano di molto i poteri delle forze dell'ordine: ecco il mito del "mandato", inteso come ordine del Giudice o del Pubblico Ministero (a seconda dei casi), necessario per legittimare una perquisizione, un'ispezione o un sequestro.
Ma non solo: la Costituzione aggiunge che l'atto dell'Autorità Giudiziaria deve essere anche "motivato" (cioè deve spiegare cosa si intende fare e perché), al fine di evitare azioni arbitrarie, e deve essere emesso in base alla legge. 
Ecco perché, ad esempio, per una perquisizione il codice di procedura penale richiede che vi sia il fondato sospetto che in un luogo si trovino cose pertinenti ad un reato, oppure che una persona detenga il corpo del reato sulla sua persona, o ancora che in un determinato luogo si trovi una persona da arrestare.
E' importante sottolineare che, in questi casi, spesso la legge prescrive delle ulteriori garanzie (ad esempio, quella di farsi assistere da un avvocato o da un'altra persona di fiducia). 
In linea di principio, dunque, è proprio come nei film: le forze dell'ordine possono entrare in casa nostra soltanto esibendo al cittadino il famoso mandato.
Tuttavia, l'ordinamento italiano prevede anche dei casi in cui le perquisizioni possono essere eseguite senza l'ordine dell'Autorità Giudiziaria: in genere ciò avviene quando è necessario tutelare interessi che la Costituzione ritiene importanti almeno quanto la libertà personale.
Ad esempio, alcune forme di perquisizione sono consentite in caso di flagranza di reato: è chiaro che se una persona viene colta nell'atto di commettere un omicidio e poi scappa è necessario assicurare sin da subito alla giustizia l'arma del delitto, procedendo a perquisizione personale: in questo caso l'interesse da tutelare è quello della sicurezza pubblica e del buon funzionamento della giustizia.
Un'altra ipotesi importante è prevista dal Testo unico delle leggi in materia di pubblica sicurezza (TULPS), che attribuisce agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria il potere di perquisizione "in qualsiasi locale pubblico o privato o in qualsiasi abitazione" qualora essi "abbiano notizia, anche se per indizio, dell'esistenza... di armi, munizioni o materie esplodenti, non denunziate o non consegnate o comunque abusivamente detenute" (art. 41 R.D. . 773 del 1931). Qui, com'è evidente, la legge tutela l'interesse della pubblica incolumità.
Tuttavia la Corte di Cassazione, richiamando anche varie pronunce della Corte Costituzionale, ha precisato che non basta il semplice "sospetto" dell'esistenza di armi o esplosivi, altrimenti l'azione delle forze dell'ordine sconfinerebbe nell'arbitrio e renderebbe lettera morta il dettato costituzionale, finalizzato proprio a proteggere il singolo dai pubblici poteri (Cass. penale, sez. VI, sentenza 18.12.2009 n° 48552).

lunedì 2 febbraio 2015

Le multe: alcune cose da sapere

Una delle esperienze più seccanti nella vita di tutti i giorni è tornare verso la nostra automobile e trovare sotto il tergicristallo una temutissima multa. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, chi ci ha lasciato il biglietto d'auguri sa il fatto suo (del resto è pagato per questo); tuttavia, di seguito riporterò una breve ed informale guida per conoscere almeno gli aspetti fondamentali previsti dalla legge e tutelarsi, ove possibile, dalle sanzioni, ricordando che su quest'altro post ci sono alcuni consigli per evitare la perdita di preziosi punti della patente.
Per cominciare, bisogna sapere subito che l'atto che troviamo sotto il tergicristallo non è il vero e proprio verbale emesso dall'organo, ma è una sorta di avviso di cortesia che ci fa conoscere l'intenzione dell'agente accertatore di procedere all'emissione del verbale di contestazione. 
La "multa"* sotto il tergicristallo, quindi, non è autonomamente impugnabile: serve più che altro a consentire all'automobilista di pagare in misura ridotta evitando le spese per la notifica del verbale o, se il pagamento è effettuato entro cinque giorni, di pagare il 30% in meno dell'importo previsto dal codice.
Di regola, infatti, il verbale dev'essere contestato immediatamente al trasgressore, a meno che non ricorra una delle ipotesi previste dal codice della strada (es.: assenza del trasgressore, veicolo lanciato ad eccessiva velocità, passaggio col semaforo rosso etc.).
Quando non è possibile la contestazione immediata, l'accertatore lascia l'avviso di cortesia (chiaramente se il veicolo è fermo, ad esempio in divieto di sosta e in assenza del conducente), oppure procede alla redazione del verbale e alla notifica che normalmente avviene a mezzo posta, indicando in entrambi i casi il motivo della mancata contestazione immediata.
E' quindi inutile, come fanno in molti, gettare via o ignorare la multa trovata sotto il tergicristallo, visto che non è quello l'atto con il quale si contesta l'infrazione e, anzi, se si è nel torto è più utile pagare subito in misura ridotta. Le possibilità che l'agente accertatore non proceda a redigere il verbale sono, infatti, molto poche.
E' anche inutile non ritirare la multa che il postino vuole consegnarci, o ignorare l'avviso che ci viene lasciato in cassetta per indicare che c'è un atto da ritirare presso l'ufficio postale: se il destinatario viene messo nella condizione di ricevere l'atto, ma non lo ritira volontariamente o nei termini di legge, la notifica si intende comunque perfezionata.
Se il verbale viene contestato subito, il conducente può fare ricorso nei termini di legge (sessanta giorni per il ricorso al Prefetto, trenta per il ricorso al Giudice di Pace). Il pagamento della sanzione, però, preclude la possibilità di fare ricorso.
Un'alternativa ai ricorsi è presentare un'istanza in autotutela all'Ente che ha emesso il verbale, che ha il potere di correggere o annullare un atto illegittimo: tuttavia, è consigliabile percorrere questa strada solo in presenza di irregolarità o errori evidenti commessi dagli accertatori (es.: per un errore di trascrizione della targa, viene sanzionato un veicolo che in realtà era imbarcato per un viaggio).
Se non c'è contestazione immediata, il termine per presentare ricorso decorre dal momento in cui l'atto viene notificato al destinatario: è importante sapere che l'organo procedente ha novanta giorni di tempo dal giorno dell'infrazione per notificare il verbale, altrimenti lo stesso può essere invalidato dal Prefetto o da Giudice. Ma attenzione: se l'ufficio procedente deve compiere delle ricerche per risalire al proprietario del mezzo o al trasgressore, il termine di novanta giorni decorre dal momento in cui lo stesso ufficio sia stato posto nelle condizioni di conoscere l'identità di tali soggetti. 
Il verbale, di regola, deve essere infatti notificato sia al trasgressore che al cosiddetto "obbligato in solido", cioè al proprietario del veicolo o comunque al titolare di altri diritti sul veicolo stesso.
Quando non viene identificato il trasgressore, gli organi accertatori notificano il verbale all'obbligato in solido e, se l'infrazione comporta la perdita di punti sulla patente, sarà necessario indicare i dati dell'effettivo trasgressore entro sessanta giorni dalla notifica del verbale, pena l'emissione di un altro verbale.
Come si può notare, le procedure previste dalla legge sono estremamente dettagliate e, sopra, sono stati omessi per brevità aspetti di fondamentale importanza. Il consiglio, quindi, è quello di rivolgersi in tempi brevi ad un legale quando si ritiene di essere dalla parte della ragione.

* = per la precisione, il termine informale "multa" è errato perché la multa è una sanzione pecuniaria prevista per i reati più gravi. Nel linguaggio di tutti i giorni, questo termine viene utilizzato per indicare il preavviso lasciato sotto il tergicristallo o il vero e proprio verbale di accertamento della violazione al codice della strada.

martedì 6 gennaio 2015

Bufale legislative: 25 mila euro se ti sposi nel 2015

Augurando a tutti i lettori del blog un buon 2015, colgo l'occasione per un post che, come quello di fine anno sulla "depenalizzazione di 112 reati", si occupa di una bufala legislativa. Una "bufalegislativa", diciamo.
Si tratta di una notizia che gira dall'aprile del 2014, in realtà, ma che continua a circolare per motivi facilmente intuibili poiché promette 25 mila euro, stanziati dalla Comunità Europea, per chi si sposa entro il 2015. Non è difficile immaginare che proprio quest'anno ci sarà un nuovo boom della bufala.
La falsa notizia, ripresa da numerosi siti di (ehm) informazione, indica anche un preciso riferimento legislativo nell'art. 5 del D.L. 201/2014 ("salva-famiglia"). Tuttavia, è una bufala per vari motivi.
Il primo è che non esiste alcun decreto-legge "salva-famiglia" né, tantomeno, un D.L. 201/2014. L'ultimo decreto-legge del 2014 è infatti il numero 192, datato 31 dicembre, ed è quindi impossibile che il n. 201 fosse stato emanato ad aprile 2014.
Curiosamente, però, esiste il famigerato "salva-Italia" del Governo Monti, cioè il D.L. 201/2011, che all'art. 5 prevede la "Introduzione dell'ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglia". Ovviamente il decreto non prevede alcuno stanziamento di una quota fissa per chi si sposa nel 2015, ma almeno è servito agli autori della bufala per dare una parvenza di ufficialità al tutto.
Il secondo motivo di falsità sta nel fatto che la notizia cita uno stanziamento della "Comunità Europea", che non esiste più da qualche anno (esiste l'Unione Europea, com'è noto); tuttavia, questo potrebbe essere un mero refuso e non è sufficiente a "sbugiardare" la notizia.
Il terzo motivo sta nelle cifre: la notizia menziona dei dati Istat che parlano di 7.217.000 di matrimoni celebrati in Europa nel 2013. E' facile immaginare che, se i dati citati fossero veri, per "finanziare" anche solo 5 milioni di matrimoni nel 2015 l'U.E. spenderebbe una cifra impossibile (125 miliardi di euro!).
Il quarto motivo sta nelle modalità indicate dalla notizia per accedere al finanziamento, ovvero presentare una richiesta allo Sportello Unico Europeo (SUE) costituito presso ogni Prefettura...sportello che, com'è facile verificare presso qualsiasi Prefettura, non esiste. Esiste, al massimo, uno "Sportello Unico per l'Edilizia" che, oltre ad essere normalmente costituito presso i Comuni e non presso le Prefetture, si occupa chiaramente di altro.
L'ultimo motivo di falsità della notizia sta nel semplice fatto che essa è stata pubblicata da un sito satirico in data 1° aprile 2014...un pesce d'aprile doppio, insomma.
Sarebbe bastato cominciare dalla ricerca della fonte per sbugiardare la notizia; tuttavia, ho preferito seguire un altro percorso per far vedere ai lettori quanto è facile smascherare una "bufalegislativa", utilizzando pochi accorgimenti: la logica, la coerenza interna della notizia, la precisione dei riferimenti legislativi etc.
Ma siccome l'argomento delle bufale legislative mi sembra interessante, presto pubblicherò una mini-guida per chi vuole saperne di più e non si accontenta di condividere tutto ciò che gira sulla Rete, poiché - com'è nello spirito di questo blog - tutti hanno il diritto di conoscere il diritto, soprattutto quando qualcuno tenta di utilizzarlo per confondere le idee ai cittadini!

7.217.000,#sthash.G6M3soSK.M1bU7WSu.dpuf
5 mila € per tutte le coppie che decideranno di convolare a nozze entro la fine dell’anno 2015” - See more at: http://www.bufalandia.it/?p=499#sthash.G6M3soSK.M1bU7WSu.dpuf
5 mila € per tutte le coppie che decideranno di convolare a nozze entro la fine dell’anno 2015” - See more at: http://www.bufalandia.it/?p=499#sthash.G6M3soSK.M1bU7WSu.dpuf
5 mila € per tutte le coppie che decideranno di convolare a nozze entro la fine dell’anno 2015” - See more at: http://www.bufalandia.it/?p=499#sthash.G6M3soSK.M1bU7WSu.dpuf
5 mila € per tutte le coppie che decideranno di convolare a nozze entro la fine dell’anno 2015” - See more at: http://www.bufalandia.it/?p=499#sthash.G6M3soSK.M1bU7WSu.dpuf