lunedì 6 gennaio 2014

L'azione penale obbligatoria: cos'è e perché è importante per il cittadino "semplice"

L'articolo 112 della Costituzione stabilisce che "il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale", ma da qualche anno torna ciclicamente l'ipotesi di modificare questa norma per trasformare l'azione penale da obbligatoria a discrezionale. Il tema può sembrare interessante solo al "circolo dei giuristi" e agli addetti ai lavori, ma forse da un punto di vista procedurale non c'è norma più importante per il cittadino che sia vittima di un reato. Vediamo perché.
L'obbligo dell'azione penale, tradotto in parole povere, significa che il magistrato (PM) venuto a conoscenza di una notizia di reato (es.: con una denuncia) deve compiere ogni atto di indagine utile per valutare la fondatezza di tale notizia, per stabilire cioè se la legge penale sia stata violata e chi debba eventualmente risponderne.
Se ritiene fondata la notizia, il Pubblico Ministero chiederà il rinvio a giudizio del presunto autore del reato, altrimenti opterà per la richiesta di archiviazione.
Questo meccanismo assicura soprattutto l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.): se l'azione penale fosse discrezionale, solo il cittadino "ricco" potrebbe permettersi un buon avvocato per convincere l'Autorità Giudiziaria a procedere. Mi spiego con un esempio: in Francia esiste un sistema "misto" per alcuni reati meno gravi, poiché il magistrato che riceve una denuncia può decidere di non procedere per ragioni di opportunità, di politica criminale e così via. Per "costringerlo" a proseguire e indagare, la vittima del reato deve formulare una querela con costituzione di parte civile, ma deve pure pagare una cauzione: è facile immaginare che un tale meccanismo può ingenerare discriminazioni.
Infatti, in un caso che qualche anno fa fece discutere molto, un cittadino francese si è rivolto alla Corte Europea dei diritti dell'uomo denunciando l'imposizione di una cauzione che non poteva permettersi, e la Corte ha riconosciuto che a quel cittadino era stato negato l'accesso alla giustizia (diritto fondamentale dell'uomo). Del resto quando sentiamo che negli USA un personaggio famoso viene scarcerato pagando una cauzione di milioni di dollari, la nostra coscienza ci suggerisce che lo stesso diritto non sarebbe stato assicurato ad una persona normale e non abbiente.
Altro esempio: una donna viene costantemente perseguitata dall'ex con appostamenti, minacce velate, comportamenti aggressivi e così via, ma per paura non si rivolge alla giustizia. E' giusto o sbagliato, secondo voi, garantire comunque la difesa della donna anche se il magistrato viene a conoscenza dell'accaduto da terzi e la donna, per sudditanza nei confronti dell'aggressore, non "insiste" nel pretendere la punizione dell'ex?
Qualcuno può obiettare: ma anche se il PM ha l'obbligo di fare le indagini non è detto che le faccia bene, per cui è possibile che chieda l'archiviazione e che la vittima resti priva di tutela. In realtà il codice di procedura penale, proprio per garantire pienamente il rispetto degli artt. 3 e 112, prevede un importante meccanismo: dato che il PM formula la richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari (GIP), quest'ultimo ha un forte potere di controllo sulla richiesta e può sia ordinare al PM di compiere nuove indagini, sia imporgli di formulare l'imputazione, cioè di promuovere l'accusa in giudizio riconoscendo la fondatezza della notizia di reato (art. 409 c.p.p.).

Come si vede, il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale è determinante per garantire un eguale accesso alla giustizia, impedendo che la persecuzione dei reati sia dettata da scelte ideologiche, religiose, politiche o comunque da ragioni diverse dalla necessità di assicurare il rispetto della legge: perché, allora, la politica tenta da anni di mettere mano a tale principio? La risposta, senza nemmeno spremersi troppo le meningi, è fin troppo facile...

5 commenti:

  1. L'obbligatorietà dell'azione penale fa sì che i PM abbiano semplicemente troppe notizie di reato da seguire, troppe per essere umanamente affrontabili. Per cui di fatto i PM hanno piena discrezionalità nel "scegliere" quali notizie di reato approfondire e quali lasciar decadere.
    Di qui emerge il carattere "personalistico" della (in)giustizia italiana, nella quale le "scelte ideologiche, religiose, politiche" sono il vero driver.

    La legge è uguale per tutti, ma in Italia per qualcuno è più uguale.

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    1. Buongiorno e grazie per il commento.
      Avrei gioco facile nel rispondere che l'obbligatorietà dell'azione penale condiziona la discrezionalità della giustizia...anche se, forse, in parte non posso darle torto.
      Tuttavia, non è sicuro che le notizie di reato possano diminuire soltanto se dal sistema dell'obbligatorietà dell'azione penale si passasse a quello della discrezionalità: i processi civili, nei quali l'azione è rimessa totalmente al privato, sono molti di più di quelli penali.
      Il gran numero di notizie di reato deriva - per stessa ammissione dei magistrati, come ho avuto modo di sentire in numerosi convegni e come posso testimoniare anche io perché spesso le querele e le denunce vengono redatte da noi avvocati - dall'eccessiva litigiosità, dalla incapacità di depenalizzare molti reati, da norme contraddittorie etc.
      Del resto, quale sarebbe il sistema alternativo? Quello di consentire già "alla fonte" che il PM possa scegliere di cosa occuparsi e di cosa trascurare?
      Saluti e di nuovo grazie per l'intervento.
      C.N.

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  2. E se molti procedimenti i quali, come lei giustamente segnala, sono frutto della litigiosità delle controparti, venissero non giudicati ma composti attraverso dei giudici conciliatori che, nell'immediato, potrebbero essere individuati dal Presidente del Tribunale tra gli avvocati appartenenti al medesimo foro, ma nel futuro formati direttamente dalle Università con corsi specifici tipo Master o Dottorati?
    Questi Giudici potrebbero essere designati di volta in volta direttamente dal G.I.P. dando nel contempo un limite di tempo nel quale comporre le parti al termine del quale, se non si è risolto nulla, rimettere tutto allo stesso G.I.P. con le eventuali segnalazioni.
    Attualmente tale figura anche se già introdotta non ha un effettivo impiego oppure un impiego molto limitato, mi pare.

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    1. Egregio Sig. Sernagiotto,

      La ringrazio per l'intervento e Le rappresento che la Sua proposta è senza dubbio interessante. In realtà la composizione di piccoli litigi dovrebbe essere già demandata al Giudice di Pace (ovviamente nella sua competenza in materia penale), ma molto spesso tale funzione non è esercitata nel modo dovuto per oggettivi limiti del sistema.
      Ritengo, tuttavia, che per alcuni reati la soluzione debba essere una drastica depenalizzazione.
      Le faccio un esempio concreto: ha senso instaurare un giudizio penale (innanzi al Giudice di Pace, appunto) solo perché una persona ha definito "maleducata" una vicina di casa? Eppure mi è capitato di dover difendere chi è finito sotto processo per ingiuria proprio per aver detto "maleducata" alla vicina.
      C.N.

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  3. Egr. Avv. Nalli
    Per quanto riguarda l'inopportunità dell'azione penale per reati di basso profilo sono d'accordo con Lei, anche se io, più che una depenalizzazione sarei a favore di una composizione tra le parti in forma extra foro. Mi spiego: nel caso da lei citato per talune persone il termine maleducata può risultare solo una definizione poco più che sgarbata mentre per altri che magari la vivono personalmente la considerano una chiara provocazione dal tono ingiurioso; pertanto chi realmente può darci la corretta definizione di ingiuria, oltre a quella che ci da il dizionario?
    Per questi motivi, come ho già espresso, ritengo che trovare delle figure altamente specializzate capaci di definire tali dissidi possa essere una delle carte vincenti per cercare di sollevare i nostri Tribunali da quell'impasse burocratico che fa attendere mesi o meglio anni la definizione dei procedimenti.
    Cordiali saluti
    Gastone Sernagiotto

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