Il rapporto
tra il diritto di cronaca e alcuni diritti della persona come la reputazione,
l’onore, il decoro e la privacy rappresenta sicuramente uno dei punti più
critici nelle democrazie moderne. Nessuna legislazione riesce a disciplinare in
modo perfetto i limiti tra la libertà di stampa e il rispetto della persona,
soprattutto perché i diritti di cronaca e critica da un lato e i diritti della
personalità dall’altro sono tutti di rilevanza costituzionale.
E’ chiaro
che qualsiasi notizia può influire negativamente sulla reputazione di un
soggetto: riportare fatti di cronaca giudiziaria o anche di cronaca rosa può
infatti costare l’isolamento sociale, la fine di rapporti amicali o familiari e
molto altro. Il problema è dunque stabilire quando può prevalere la libertà di
stampa e quando, invece, l’esercizio di tale libertà è ingiustificato e diventa
lesivo dei diritti della persona.
La
normativa italiana sul tema si muove tra poche regole e tanta elaborazione
giurisprudenziale: non esiste una norma precisa che si occupa dell’esercizio
del diritto di cronaca e critica, ma esiste (tanto nel codice civile quanto nel
codice penale) una causa di giustificazione chiamata, appunto, “esercizio di un
diritto”, e che esclude le conseguenze delle proprie azioni se ricorrono
determinate condizioni. In altre parole, il diritto di cronaca e critica è
correttamente esercitato (e non costituisce quindi una violazione del diritto
alla reputazione, all’onore etc.) se ricorrono queste tre condizioni elaborate
nel corso di decenni dalla Corte di Cassazione:
1. L’interesse
pubblico alla notizia: il sacrificio dei diritti della personalità sopra
citati è consentito in primo luogo se c’è una utilità sociale alla conoscenza
della notizia, dato che il fine principale della stampa è portare a conoscenza
del pubblico fatti che abbiano un interesse rilevante per collettività più o
meno vaste. E’ quindi chiaro che il diritto all’integrità morale di un uomo
qualunque è tutelato in maniera più rigorosa rispetto a quanto accade per un
personaggio politico o comunque pubblico, essendo le azioni e le opinioni di
quest’ultimo maggiormente rilevanti per la collettività;
2. La
verità o almeno la veridicità della notizia: chiaramente dev’esserci una
corrispondenza tra quanto accaduto e quanto narrato dalla stampa, almeno nel
nucleo essenziale, senza alterazioni od omissioni che mutino il significato
della notizia stessa;
3. La
correttezza formale della notizia: questa caratteristica, detta anche
“continenza”, consiste nella serena e obiettiva esposizione dei fatti. E’
necessario, quindi, l’utilizzo di espressioni e giudizi improntati alla lealtà,
tenendo conto dello scopo informativo da conseguire: i Tribunali spesso bollano
come eccessivi accostamenti suggestivi, insinuazioni, termini sproporzionati
rispetto alla notizia e così via.
Come si può
intuire questi tre criteri indicano una strada da seguire, ma la loro
applicazione concreta varia da caso a caso; prendiamo ad esempio il criterio
della continenza: quand’è che le considerazioni su un personaggio pubblico
eccedono il diritto di critica e diventano soltanto un modo per offendere la
sua integrità morale? E’ evidente che gli sforzi interpretativi dei giudici nei
casi concreti non possono portare a regole valide per tutte le situazioni, così
come è evidente che l’attuale classe politica difficilmente potrà cambiare in positivo
la normativa vigente: come potremmo attenderci una discussione serena sul tema
se i politici stessi sono i protagonisti in negativo di ciò che la stampa ogni
giorno ci racconta?
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